lunedì, gennaio 29, 2007

Parco Welby



Vecchio mio, non ci crederai:
vogliono intitolarti un parco.
Sì, un parco.
Hai già capito, vero?
Ti immagini?
Mi assicuro che nessuno mi veda,
salgo in piedi su una panchina del parco
– dico: di Parco Welby –
e declamo una tua poesia…
Che figata, Pie’.
Ti immagini gli usignoli?
Altro che messa funebre,
alla faccia di quella prugna secca con mozzetta!
Guarda lassù le fronde degli alberi, Pie’:
che cupola magnifica fanno.
Che pace, eh?

LUIGI CASTALDI

lunedì, gennaio 22, 2007

A. Sofri da "Repubblica" di oggi

Il cardinale Martini e la tragedia di Welby

ADRIANO SOFRI

Finalmente viene la domenica e, sbrigate le altre incombenze, data un occhiata evasiva alle notizie del giorno, la lettrice o il lettore si accomoda in poltrona e apre le pagine della cultura. Ieri, la lettrice o il lettore che ha preso in mano il supplemento del Sole 24 ore deve aver fatto un salto sulla poltrona. Piena pagina: «Io, Welby e la morte». Titolo secco: ci vuole coraggio per guardare negli occhi la morte altrui e la propria. Lo ha voluto fare il cardinale Carlo Maria Martini, con un intervento esemplare. Intanto, per il limpido riferimento alla propria personale esperienza. Martini sta per entrare, ricorda, nell’ottantesimo anno, grato a chi l’ha aiutato attraverso un tempo così lungo e travagliato, e in particolare medici e infermieri. La riconoscenza per sé non gli impedisce di pensare, «con qualche vergogna e imbarazzo», alla negligenza o l’inadeguatezza delle strutture sanitarie che costano ad altri bisognosi di cure un’attesa troppo lunga o la negazione di un ricovero. Quando decida solo il mercato, «la sanità privilegia gli interventi più remunerativi e non quelli più necessari per i pazienti». Dopo questa premessa, Martini va diritto al punto, e il punto ha il nome di Pier Giorgio Welby, «che con lucidità ha chiesto la sospensione delle terapie...». Benché, osserva, alcune parti politiche abbiano mirato a»esercitare una pressione in vista di una legge a favore dell’eutanasia», casi come questo sono destinati a moltiplicarsi, «e la Chiesa stessa dovrà darvi più attenta considerazione anche pastorale». I corsivi sono miei: e vi si legge un giudizio più che «rispettoso» — il rispetto appartiene alle parole abusate, cui segue di norma un «però»— solidale con risolutezza di Welby, e, quanto al «pastorale», decisamente distante dalla rigidità burocratica con la quale la Chiesa romana respinse la richiesta del funerale religioso. Ricordate che Welby era favorevole all’eutanasia, e ha condotto per anni una strenua battaglia per il cambiamento della mentalità e della legge, e tuttavia la sua richiesta, e l’accoglimento che finalmente ha avuto, non avevano a che fare con l’eutanasia. Con una felice combinazione di chiarezza e di semplicità, Martini affronta la confusione di lingue corrente: «E di grandissima importanza distinguere tra eutanasia e astensione dall’accanimento terapeutico...». Martini cita il catechismo cattolico, a proposito della «rinuncia... all’utilizzo di procedure mediche sproporzionate e senza ragionevole speranza di esito positivo». Mi pare che la confusione si sia appena ripetuta nella formulazione della domanda e nella presentazione della risposta del sondaggio Eurispes, secondo cui gli italiani sono favorevoli al 70 per cento «all’eutanasia». In realtà, come gli stessi autori del sondaggio hanno precisato, gli interpellati avevano in mente l’interruzione di cure senza speranza e non più sopportate, come nel caso di Welby, e l’accompagnamento alla fine con terapie palliative. E un fatto che il sentimento degli italiani, e in questo i sondaggi sono molti e univoci, sta dalla parte del diritto a decidere consapevolmente della propria vita e della propria morte. L’altro punto che resta equivoco è ‘accanimento terapeutico. L’indagine Eurispes, segnalando la rilevante percentuale di italiani che ne danno una definizione sbagliata, chiama accanimento la cura quando sia impossibile la «guarigione». Spero bene che non sia così, perché le malattie che non consentono «guarigione» sono molte, e le terapie che senza «guarire» possono prolungare una vita degna meritano ogni dedizione. E che cos’è una vita degna? Difficile e forse impossibile da dire normativamente: ma senz’altro quella che ciascuno consideri tale per sé. La stessa vita che Welby è arrivato lucidamente a rifiutare può essere lucidamente voluta e amata da altri. Una legge che violi l’una o l’altra scelta è ingiusta e disumana. Il legame fra definizione dell’accanimento terapeutico e consapevole scelta personale è decisivo. Il cardinale, anche qui rompendo un bigottismo mortificante — tuttavia a ridosso dello scandalo per Welby sentimenti opposti sono stati numerosi fra i cattolici e nella Chiesa — si pronuncia nettamente: «Per stabilire se un intervento medico è appropriato non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica... In particolare non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete — anche dal punto di vista giuridico... — di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate». Martini osserva che «forse» sarebbe meglio parlare, piuttosto che di sospensione delle cure, o, peggio ancora, di «staccare la spina», di «limitazione dei trattamenti», nel senso che l’assistenza deve continuare, «assicurando la sedazione del dolore e le cure infermieristiche». Non so che cosa pensi il cardinale, che qui non ne parla, dell’argomento per cui la vita non è nostra, ma di Dio. Spero che pensi che Dio, anche questo Dio proprietario, preferisca rendere le sue creature responsabili della propria vita, piuttosto che affidarle allo Stato, o alla Chiesa, o a qualche altra concessionaria. A differenza dal cardinale, io sono favorevole di fatto all’eutanasia, sebbene sia incerto quanto alla legge. Mi chiedo però, a maggior ragione dopo l’edificante lettura dell’articolo di Martini (è bello poter usare per una volta sul serio l’aggettivo edificante), se non si possa rovesciare il difetto della confusione di nozioni confinanti, testamento biologico, accanimento terapeutico, eutanasia, nella virtù di una legge che, senza autorizzare una terra di nessuno dell’arbitrio o del cinismo, assicuri il diritto primario della persona del malato e la dignità della persona del medico. (E significativo che Martini si preoccupi di «proteggere il medico da eventuali accuse, come omicidio del consenziente o aiuto al suicidio, senza che questo implichi la legalizzazione dell’eutanasia»). La recente legge francese, apprezzata da Martini come un esempio di equilibrio, e citata dalla «Domenica» del SoIe-24 ore, recita: «Quando una persona, in fase avanzata o terminale di una patologia grave e incurabile, decide di limitare o di sospendere qualsiasi trattamento, il medico ne rispetta la volontà dopo averla informata delle conseguenze della sua scelta...Il medico tutela la dignità del moribondo e assicura la qualità della sua fine di vita somministrando le cure...». Tutto ciò mi rafforza nella convinzione che occorra parlare della cosa piuttosto che del nome della cosa, tanto più quando i nomi, come nel caso attuale dell’eutanasia, sono esplosi. Il resoconto del bell’articolo di Martini sarebbe mutuo se non citassi il periodo che lo chiude, e che nel suo caso non è un orpello retorico.
«E soltanto guardando più in alto e più oltre che è possibile valutare l’insieme della nostra esistenza e di giudicarla alla luce non di criteri puramente terreni, bensì sotto il mistero della misericordia di Dio e della promessa della vita eterna». Si può dunque essere d’accordo sull’aldiquà anche se non si guardi allo stesso modo più oltre.
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giovedì, gennaio 18, 2007

Canzone per Piero



Mauro Sacchi

I treni per Reggio Calabria (clicca)


Giovanna Marini 1973

Giovanna Marini - Una biografia

Giovanna Salviucci Marini nasce a Roma nel Gennaio del 1937 da una famiglia di musicisti.
Studia composizione con i Maestri Ferdinandi e Pinelli e nel 1959 consegue il diploma di chitarra classica presso il Conservatorio romano di Santa Cecilia dove impara a suonare anche altri strumenti antichi.
Studia anche musica medioevale e rinascimentale, musica trobadorica liuto e arciliuto con il maestro Emilio Pujol e suona tali strumenti con il “Concentus Fidesque Antiqui” del Maestro Carlo Quaranta. Frequenta l'Accademia Chigiana di Siena dove si perfeziona grazie ai corsi di chitarra classica di Andrès Segovia che frequenta per alcuni anni.
Partendo da una cultura classica la Marini si avvicina in seguito alla cultura contadina, compie ricerche etnografiche e studia, analizza, trascrive e suona i canti popolari delle varie regioni d'Italia facendosi portavoce del canto sociale e politico e della storia orale cantata.
Questo avviene grazie alla conoscenza, nei primi anni sessanta, di intellettuali come Calvino e Pasolini e di personaggi come Gianni Bosio e Diego Carpitella ed ancora quella dell'etnomusicologo Roberto Leydi, uno studioso che girò in lungo e in largo l'Italia registrando su nastro magnetico i canti della tradizione popolare, quelli di lavoro, quelli a sfondo sociale e politico, i canti di classe, i canti anarchici, i canti delle mondine, degli emigranti, delle operaie delle filande.
La Marini fa suo questo patrimonio popolare e riesce così a creare un trait d'union tra la musica classica accademica e la musica contadina accostando con grande efficacia elementi "colti" ed elementi popolari.
Ha scritto di lei Michele Straniero: "...la Marini in queste liriche riesce a dar vita ad un "neo-madrigalismo" che rappresenta il suo più recente punto d’approdo nella lunga navigazione compiuta tra le due sponde opposte e parallele della musica alta e del canto popolare".
Nei primi anni '60, a Roma, frequenta il Folk Studio, il celebre locale di Giancarlo Cesaroni che qualche anno dopo avrebbe visto passare tutti i maggiori esponenti della cosiddetta scuola romana dei cantautori.
Qui la Marini si esibisce eseguendo canti popolari spesso insieme a Maria Teresa Bulciolu.
Di lì a poco entra a far parte del gruppo denominato Nuovo Canzoniere Italiano accanto a nomi quali Sandra Mantovani, Giovanna Daffini (che la Marini considera una delle sue "maestre"), Caterina Bueno, Michele Straniero, la stessa Bulciolu ed altri, tra cui i cantautori di impegno politico come Paolo Pietrangeli, Ivan Della Mea e Gualtiero Bertelli.
Riguardo alla sua ricerca delle radici della musica popolare ha dichiarato: "Io sono musicista, non etnomusicologa. L’etnomusicologo conosce la teoria del suono praticato dagli uomini, le situazioni, i riti. Egli, in tre parole, conosce il mondo. Mentre io no. Io non conosco i riti e le tradizioni nel mondo: solo per conoscere quello che da Roma va a Frosinone ho impiegato vent’anni. Sono una musicista che si è appassionata al suono popolare e all’organizzazione del suono popolare, perché è più vivo, perché è un rito legato alla sua fruizione".
Tra i suoi primi lavori va ricordato senza dubbio lo spettacolo dal titolo "Bella Ciao", del 1964, un programma di canzoni popolari italiane curato da Roberto Leydi e Filippo Crivelli (per la regia di quest'ultimo) che suscitò molte polemiche per il suo stile innovativo quando venne rappresentato al Settimo Festival Dei Due Mondi di Spoleto dove fu ritenuto "scandaloso".
Nel 1965 collabora in veste di assistente musicale con Dario Fo insieme al quale mette in scena uno spettacolo teatrale che fa storia, "Ci Ragiono e Canto", rappresentato al Teatro Carignano di Torino nel 1966. Tra gli interpreti oltre alla Marini e ai già citati componenti del Nuovo Canzoniere vanno citati Ivan Della Mea (nella foto qui sotto con la Marini e Pietrangeli), il gruppo Padano di Piadena, Paolo Chiarchi, Franco Coggiola ed altri.


I primi 33 giri di Giovanna Marini per l'etichetta dei Dischi del sole sono "Canti dell'Abruzzo - Lu Picurare" e "Canti della Sardegna - La disispirata", insieme a Maria Teresa Bulciolu.
Partecipa al Folk Festival 2 a Torino dove per la prima volta presenta in pubblico la sua famosa e lunghissima ballata dal titolo "Vi parlo dell'America".
Giovanna, infatti, ha vissuto per due anni a Boston dove il suo ex marito era fisico nucleare al Massachussetts Institute of Technology. Con questa ballata, che viene pubblicata nel 1965 e che è a metà strada tra il talking blues ed i canti popolari italiani, la Marini critica il sistema di vita americano fatto di conformismo e stigmatizza molti aspetti negativi della classe media americana e della realtà di quel Paese cantando così al riguardo: "Sono tornata qua con una sola idea molto chiara. E' tutta da combattere, è tutta da distruggere, non c'è niente da salvare".
Del '67 è la ballata "Chiesa Chiesa" mentre il 1968 è l'anno di altre due famose ballate: "Lunga vita allo spettacolo, ovvero le doglie del teatro d'oggi" e "Viva Voltaire e Montesquieu".
Nel 1969 è la volta della raccolta "Controcanale '70" che firma con lo pseudonimo "Vitavisia" cui seguono "La nave - La creatora" e "La vivazione (la partita truccata)".
Del 1974 va ricordata un'altra ballata, "L'eroe", una sorta di melodramma popolare per voci e strumenti, cui fanno seguito i 33 giri "I treni per Reggio Calabria" e "Correvano coi carri" tratto dall'omonimo spettacolo, oratorio per undici voci e chitarra, prodotto dal Teatro Spazio Zero e dalla Scuola Popolare di Musica di Testaccio di Roma.
Negli anni settanta lo stile di Giovanna Marini subisce un certo cambiamento, si interessa maggiormente all'aspetto musicale rispetto a quello legato alle istanze sociali che erano alla base delle sue prime ballate, abbandona la canzone politica in senso stretto ed esplora anche altre forme musicali. Ad esempio, nel doppio album del 1978 che si intitola "La grande madre impazzita", si avvicina al jazz. Si tratta di un album che incide con il trio di jazzisti denominato "SIC", composto da Giancarlo Schiaffini (trombone), Michele Iannaccone (batteria) ed Eugenio Colombo (clarinetto, sassofono, flauto).
Nel 1976 la Marini forma un gruppo polifonico di undici elementi dal quale, con il passare del tempo, restano in quattro. Nasce così il quartetto vocale che nel corso degli anni ha visto più volte modificare la propria composizione (fino a giungere alla formazione attuale del "Quartetto Giovanna Marini" che vede Patrizia Nasini, Patrizia Bovi, Francesca Breschi e la stessa Marini) e con il quale la cantautrice romana va in tournée in Francia, Spagna, Stati Uniti e Germania ottenendo grandi consensi di pubblico e critica e per il quale ha composto molti madrigali.
Con il quartetto Giovanna Marini incide molti dischi tra cui ricordiamo: la già citata cantata profana Correvano coi carri (Dischi del sole, 1979), Cantate de tous les jours (Le Chant du monde, 1980), Partenze - Vent'anni dopo la morte di Pier Paolo Pasolini (Silex-Auvidis, 1996), Cantico della terra (Opus 111, 1999).
Nel 1984 ricordiamo l'uscita in Francia di "Pour Pier Paolo", da un'idea di Laura Betti, dodici liriche di Pier Paolo Pasolini per cinque voci e cinque strumenti, prodotto dal Festival d’Automne di Parigi. L'opera è tratta da 12 poesie in dialetto friulano tra cui alcune tratte da "La Nuova Gioventù - Suite Friulana" scritte dal poeta, scrittore e regista cui la Marini aveva già dedicato un Requiem e, nel 1976, il "Lamento per la morte di Pasolini" (vedi scheda de "Il fischio del vapore" in questa stessa pagina) pubblicato sull'album "I treni per Reggio Calabria".
Del 1996 è il "Concerto per Leopardi" composto per il bicentenario della nascita del poeta di Recanati.
Del 1999 è invece "La Bague Magique" con la regia di Jean-Claude Berutti presentata all’Opera di Nancy e al Théâtre du Peuple di Bussang.
Giovanna Marini ha anche una intensa attività di composizione per il teatro e vince per due volte il prestigioso premio Ubu per la migliore musica di scena, con la musica per "Le troiane" (regia di Thierry Salmon) e "Le coèfore" (regia di Elio De Capitani).
Del 2001 va ricordata "La Cantata del secolo Breve", presentata al Théâtre de Vidy con il suo quartetto vocale.
In tempi più recenti va ricordato sicuramente l'album "Il fischio del vapore" che giunge in vetta alle classifiche di vendita e che vede la Marini cantare in coppia con il cantautore romano Francesco De Gregori una serie di antiche canzoni popolari. Insieme a De Gregori compie anche una tournèe in giro per i teatri italiani, anche questa di grande successo di pubblico e critica.
Nel Maggio del 2002 con la produzione e gli arrangiamenti dello stesso Francesco De Gregori e del bassista Guido Guglielminetti esce un nuovo disco dal titolo "Buongiorno e buonasera" che raccoglie suoi vecchi brani folk e tre inediti: “Le Fosse Ardeatine”, “Io vorrei” e “La Torre di Babele” (in riferimento all'11 Settembre).
L'ultimo album in ordine di tempo (2004) è "Passioni" in quartetto vocale con le sue compagne Bovi, Breschi e Nasini.
Giovanna Marini ha insegnato a Parigi presso l’Università di Paris VIII Saint-Denis (Corso di Etnomusicologia applicata) e dal 1977 ha insegnato "Uso della voce", "Estetica del Canto Contadino" e "Etnomusicologia applicata al canto di tradizione orale italiano" a Roma presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio, da lei fondata insieme ad altri musicisti nel 1974, così come al Conservatorio di Losanna. Attività, questa di insegnante, che prosegue ancora oggi.
Importantissimo è anche il lavoro di trascrizione di brani della tradizione orale che Giovanna Marini ha compiuto nel corso degli anni svolgendo ricerche sulla grafia della musica etnica ed arricchendo la possibilità espressiva della notazione musicale tradizionale.
Giovanna Marini ha scritto anche musiche per diversi film tra cui "Porci con le ali" di Paolo Pietrangeli (film del 1977 con Franco Bianchi, Benedetta Fantoli e Lou Castel), "Terminal" di Paolo Breccia (del 1974 con William Berger e Giuliana Calandra), "Cafè Express" con Nino Manfredi per la regia di Nanni Loy (1980). Ha collaborato a molti film di Francesco Citto Maselli tra i quali ricordiamo: "Il sospetto" (del 1975 con Gian Maria Volonté, Annie Girardot, Renato Salvatori e Gabriele Lavia), "Cronache del Terzo Millennio" (del 1996 con Sara Altieri e Mary Asiride) e "Codice Privato" (del 1988 con Ornella Muti).


Andavano col treno giù nel meridione
per fare una grande manifestazione
il ventidue d'ottobre del settantadue
in curva il treno che pareva un balcone
quei balconi con la coperta per la processione
il treno era coperto di bandiere rosse
slogans, cartelli e scritte a mano
da Roma Ostiense mille e duecento operai
vecchi, giovani e donne
con i bastoni e le bandiere arrotolati
portati tutti a mazzo sulle spalle
Il treno parte e pare un incrociatore
tutti cantano bandiera rossa
dopo venti minuti che siamo in cammino
si ferma e non vuole più partire
si parla di una bomba sulla ferrovia
il treno torna alla stazione
tutti corrono coi megafoni in mano
richiamano "andiamo via Cassino
compagni da qui a Reggio è tutto un campo minato,
chi vuole si rimetta in cammino"
dopo un'ora quel treno che pareva un balcone
ha ripreso la sua processione
anche a Cassino la linea è saltata
siamo tutti attaccati al finestrino
Roma ostiense Cisterna Roma termini Cassino
adesso siamo a Roma tiburtino
Il treno di Bologna è saltato a Priverno
è una notte una notte d'inferno
i feriti tutti sono ripartiti
caricati sopra un altro treno
funzionari responsabili sindacalisti
sdraiati sulle reti dei bagagli
per scrutare meglio la massicciata
si sono tutti addormentati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
l'importante adesso è di essere partiti
ma i giovani hanno gli occhi spalancati
vanno in giro tutti eccitati
mentre i vecchi sono stremati
dormono dormono profondamente
sopra le bombe non sentono più niente
famiglie intere a tre generazioni
son venute tutte insieme da Torino
vanno dai parenti fanno una dimostrazione
dal treno non è sceso nessuno
la vecchia e la figlia alle rifiniture
il marito alla verniciatura
la figlia della figlia alle tappezzerie
stanno in viaggio ormai da più di venti ore
aspettano seduti sereni e contenti
sopra le bombe non gliene importa niente
aspettano che è tutta una vita
che stanno ad aspettare
per un certificato mattinate intere
anni e anni per due soldi di pensione
erano venti treni più forti del tritolo
guardare quelle facce bastava solo
con la notte le stelle e con la luna
i binari stanno luccicanti
mai guardati con tanta attenzione
e camminato sulle traversine
mai individuata una regione
dai sassi della massicciata
dalle chine di erba sulla vallata
dai buchi che fanno entrare il mare
piano piano a passo d'uomo
pareva che il treno si facesse portare
tirato per le briglie come un cavallo
tirato dal suo padrone
a Napoli la galleria illuminata
bassa e sfasciata con la fermata
il treno che pareva un balcone
qualcuno vuol salire attenzione
non fate salire nessuno
può essere una provocazione
si sporgono coi megafoni in mano
e un piede sullo scalinoe gridano gridano
quello che hanno in mente
solo comizi la gente sente
ora passa la notte e con la luce
la ferrovia è tutta popolata
contadini e pastori che l'hanno sorvegliata
col gregge sparpagliato
la Calabria ci passa sotto i piedi
ci passadal tetto di una casa
una signora grassa
fa le corna e alza una manoe
un gruppo di bambini
ci guardano passaree
fanno il saluto romano
Ormai siamo a Reggio e la stazione
è tutta nera di gente
domani chiuso tutto in segno di lutto
ha detto Ciccio Franco "a sbarre"
e alla mattina c'era la paura
e il corteo non riusciva a partire
ma gli operai di Reggio sono andati in testa
e il corteo si è mosso improvvisamente
è partito a punta come un grosso serpente
con la testa corazzatai
cartelli schierati lateralmente
l'avevano tutto fasciato
volavano sassi e provocazioni
ma nessuno s'è neppure voltato
gli operai dell'Emilia-Romagna
guardavano con occhi stupiti
i metalmeccanici di Torino e Milano
puntavano in avanti tenendosi per mano
le voci rompevano il silenzio
e nelle pause si sentiva il mare
il silenzio di qulli fermi
che stavano a guardare
e ogni tanto dalle vie laerali
si vedevano sassi volaree
alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
il nord è arrivato nel meridione
e alla sera Reggio era trasformata
pareva una giornata di mercato
quanti abbracci e quanta commozione
gli operai hanno dato una dimostrazione

martedì, gennaio 16, 2007

Bob e Joan

lunedì, gennaio 08, 2007

G.G.

domenica, gennaio 07, 2007

Finardi in ottima forma

giovedì, gennaio 04, 2007

C. Lolli - Gang "Ballata del Pinelli"



Ricomincio...da Piero (clicca)



Ho avuto la fortuna di conoscere e di diventare amico di Piero.
Ai funerali di Pietro Valpreda, a Milano, (non si era a migliaia) ho percorso il tragitto d'accompagnamento vicino a Riki Gianco (lui l'ho riconosciuto) e a fianco di una persona che in un quarto d'ora è riuscita a raccontarmi gran parte della sua vita. Parlava, parlava, parlava... "milanese ma siciliano", senza stancare. Alla fine mi ha detto:"Sono un cantastorie. Ti lascio il mio bigliettino da visita, così potrai vedere e sentire qualcosa di me". Il suo nome è Franco Trincale. Eccolo di nuovo qui, a cominciare insieme il nuovo anno... Buon anno, Franco. E grazie!