articolo
Da Repubblica di oggi
Spagna, parla la donna che preparò il cianuro per l’amico: dalla loro storia il film premio Oscar “Mare dentro”
“Così ho aiutato Ramon a morire. Non mi pento, lo rifarei mille volte”.
Madrid- Sono passati otto anni da quel tragico epilogo ripreso da una piccola telecamera, ma quando parla di ramòn Sampedro, del “suo” Ramon, la voce di Ramona “Moncha” Maniero si carica ancora di emozioni e di rimpianti. Che però non lasciano il minimo spazio al dubbio:”Sono molto orgogliosa, lo rifarei altre mille volte”, dice al telefono dalla sua casa di Puebla del Caraminal, un paesino in riva al mare, nella provincia di la Coruna. Fu dalla sua mano che il tetraplegico galiziano ricevette il bicchiere con il cianuro che gli consentì di mettere fine a quasi trent’anni di sofferenze. Un delitto, per la legge spagnola, che Ramona si decise a confessare quando orami era andato in prescrizione, prima con un’intervista-choc a un programma televisivo, poi con la pubblicazione di un libro, “Caro Ramòn”, che racconta i dettagli della vicenda, fino all’agonia del protagonista, rappresentata sugli schermi cinematografici dal film di Alejandro Amenàbar “Mare dentro”, premiato due anni fa con l’Oscar.
La stampa spagnola riferisce in questi giorni il caso di Piergiorgio welby, e Ramona non può fare a meno di rivivere quella storia che le cambiò la vita. "Sì, ho visto, trent’anni immobilizzato a un letto, proprio come Ramòn. E terribile. Spero davvero che parlarne possa servire a qualcosa, a mobilitare le coscienze"
Quando lei conobbe Ramòn Sampedro, il suo era già un caso nazionale. Che cosa la spinse a cercare questo incontro?
Già prima di allora mi ero occupata dell’eutanasia: Avevo seguito con grande commozione il caso dell’attrice madrilena Susan Hernàndez, delle sue sofferenze e del suo desiderio di poter mettere fine ad una vita che non aveva più senso. Quel che richiamava la mia attenzione era proprio questo: sapere che ci sono persone che non sono più in grado di sopportare la sofferenza, ma si trovano in uno stato in cui non potrebbero, neppure se volessero, suicidarsi. Sapevo che Ramòn abitava vicino a casa mia, avevo la curiosità di conoscere, di capire come si vive in quelle condizioni>>.
L’incontro andò come lei si immaginava?
No, tutt’altro. Andai a trovarlo con un’amica. Con un po’ di paura, devo confessare. Era un signore maturo che desiderava morire. Ma dal primo momento, appena mi saluta saltano tutti gli schemi. Lo vedevo subito dal suo sguardo, dal suo sorriso. Scopro che è un lottatore, un gran signore. Un personaggio meraviglioso.
Non era sospettosa davanti al desiderio della gente di conoscerlo?
Sì, parecchio. C’erano molte donne che si avvicinavano a lui, ma lo facevano solo con l’intenzione di proteggerlo da se stesso. E cioè di convincerlo a rinunciare al proposito di mettere fine alla sua vita. Per questo, sin dalla prima volta andò direttamente al sodo:”Voi mi aiutereste a morire?”, mi chiese.
Quale fu la sua risposta?
Io ero d’accordo, ma non era una risposta che gli potessi dare in quel momento. Quello sì sarebbe stato un omicidio. Dovevo sapere di più, conoscerlo meglio, capire se davvero fosse quella l’unica soluzione.
E fu così che cominciò a frequentarlo, con sempre maggiore intensità.
Non potevo davvero immaginare. In poco tempèo nacquero altri sentimenti, mi innamorai di lui. Conobbi un grande Ramòn, una gran persona. Un uomo che voleva essere libero e non poteva esserlo. Lui voleva che si legalizzasse l’eutanasia, non poterla utilizzare subito, ma poter scegliere il momento opportuno. Aveva paura di ammalarsi ancor di più e di ritrovarsi in una condizione che gli impedisse qualsiasi capacità di muoversi e di prendere una decisione.
Non voleva morire subito, però a lei chiese di aiutarlo a morire.
Ramòn decise di accelerare il processo del suo congedo da questa vita per altri problemi, per cose molto brutte che non sono state ancora raccontate. Me ne parlava in una lettera, l’ultima che mi fece avere, ma non ne rileverò il contenuto per rispetto alla sua memoria.
Lei si innamorò, ma per rispettare la sua volontà, dovette compiere il gesto fatale che mise fine alla vostra unione,. Deve essere stato terribile…
Da Ramòn ho appreso molte cose. Non abbiamo avuto molto tempo, però è stato sufficiente per sapere quello che volevamo l’uno dall’altro. Nonostante chiedesse per sé la morte, voleva che la gente lottasse per la vita. Era il primo a darti la forza di andare avanti, con la sua ironia, con il suo carattere forte. Se avessi la tua età e la tua salute, mi diceva, mi mangerei il mondo.
Spagna, parla la donna che preparò il cianuro per l’amico: dalla loro storia il film premio Oscar “Mare dentro”
“Così ho aiutato Ramon a morire. Non mi pento, lo rifarei mille volte”.
Madrid- Sono passati otto anni da quel tragico epilogo ripreso da una piccola telecamera, ma quando parla di ramòn Sampedro, del “suo” Ramon, la voce di Ramona “Moncha” Maniero si carica ancora di emozioni e di rimpianti. Che però non lasciano il minimo spazio al dubbio:”Sono molto orgogliosa, lo rifarei altre mille volte”, dice al telefono dalla sua casa di Puebla del Caraminal, un paesino in riva al mare, nella provincia di la Coruna. Fu dalla sua mano che il tetraplegico galiziano ricevette il bicchiere con il cianuro che gli consentì di mettere fine a quasi trent’anni di sofferenze. Un delitto, per la legge spagnola, che Ramona si decise a confessare quando orami era andato in prescrizione, prima con un’intervista-choc a un programma televisivo, poi con la pubblicazione di un libro, “Caro Ramòn”, che racconta i dettagli della vicenda, fino all’agonia del protagonista, rappresentata sugli schermi cinematografici dal film di Alejandro Amenàbar “Mare dentro”, premiato due anni fa con l’Oscar.
La stampa spagnola riferisce in questi giorni il caso di Piergiorgio welby, e Ramona non può fare a meno di rivivere quella storia che le cambiò la vita. "Sì, ho visto, trent’anni immobilizzato a un letto, proprio come Ramòn. E terribile. Spero davvero che parlarne possa servire a qualcosa, a mobilitare le coscienze"
Quando lei conobbe Ramòn Sampedro, il suo era già un caso nazionale. Che cosa la spinse a cercare questo incontro?
Già prima di allora mi ero occupata dell’eutanasia: Avevo seguito con grande commozione il caso dell’attrice madrilena Susan Hernàndez, delle sue sofferenze e del suo desiderio di poter mettere fine ad una vita che non aveva più senso. Quel che richiamava la mia attenzione era proprio questo: sapere che ci sono persone che non sono più in grado di sopportare la sofferenza, ma si trovano in uno stato in cui non potrebbero, neppure se volessero, suicidarsi. Sapevo che Ramòn abitava vicino a casa mia, avevo la curiosità di conoscere, di capire come si vive in quelle condizioni>>.
L’incontro andò come lei si immaginava?
No, tutt’altro. Andai a trovarlo con un’amica. Con un po’ di paura, devo confessare. Era un signore maturo che desiderava morire. Ma dal primo momento, appena mi saluta saltano tutti gli schemi. Lo vedevo subito dal suo sguardo, dal suo sorriso. Scopro che è un lottatore, un gran signore. Un personaggio meraviglioso.
Non era sospettosa davanti al desiderio della gente di conoscerlo?
Sì, parecchio. C’erano molte donne che si avvicinavano a lui, ma lo facevano solo con l’intenzione di proteggerlo da se stesso. E cioè di convincerlo a rinunciare al proposito di mettere fine alla sua vita. Per questo, sin dalla prima volta andò direttamente al sodo:”Voi mi aiutereste a morire?”, mi chiese.
Quale fu la sua risposta?
Io ero d’accordo, ma non era una risposta che gli potessi dare in quel momento. Quello sì sarebbe stato un omicidio. Dovevo sapere di più, conoscerlo meglio, capire se davvero fosse quella l’unica soluzione.
E fu così che cominciò a frequentarlo, con sempre maggiore intensità.
Non potevo davvero immaginare. In poco tempèo nacquero altri sentimenti, mi innamorai di lui. Conobbi un grande Ramòn, una gran persona. Un uomo che voleva essere libero e non poteva esserlo. Lui voleva che si legalizzasse l’eutanasia, non poterla utilizzare subito, ma poter scegliere il momento opportuno. Aveva paura di ammalarsi ancor di più e di ritrovarsi in una condizione che gli impedisse qualsiasi capacità di muoversi e di prendere una decisione.
Non voleva morire subito, però a lei chiese di aiutarlo a morire.
Ramòn decise di accelerare il processo del suo congedo da questa vita per altri problemi, per cose molto brutte che non sono state ancora raccontate. Me ne parlava in una lettera, l’ultima che mi fece avere, ma non ne rileverò il contenuto per rispetto alla sua memoria.
Lei si innamorò, ma per rispettare la sua volontà, dovette compiere il gesto fatale che mise fine alla vostra unione,. Deve essere stato terribile…
Da Ramòn ho appreso molte cose. Non abbiamo avuto molto tempo, però è stato sufficiente per sapere quello che volevamo l’uno dall’altro. Nonostante chiedesse per sé la morte, voleva che la gente lottasse per la vita. Era il primo a darti la forza di andare avanti, con la sua ironia, con il suo carattere forte. Se avessi la tua età e la tua salute, mi diceva, mi mangerei il mondo.
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