Adriano Sofri, La Notte che Pinelli
in libreria dal 15 gennaio
Adriano Sofri (su 'Il Foglio')
Allora: vent’anni fa – ventuno, quasi – Leonardo Marino, già mio compagno e amico, si intrattenne segretamente per un mesetto con un alto ufficiale dei carabinieri, cui era stato avviato da un alto ufficiale del Pci. Quando finalmente fu portato davanti a un magistrato, e mise a verbale la sua confessione, io e altre due persone fummo arrestati. Marino disse – in rapida successione – le seguenti cose. Che la sera di un mio comizio pisano che commemorava la morte in carcere per bastonate del ragazzo Franco Serantini, “era stato avvicinato da Pietrostefani e da Sofri”. Pietrostefani potè subito dimostrare di non essersi trovato a Pisa quel giorno – era colpito da un mandato di cattura per un volantino, e le meticolose fonti di polizia escludevano la sua presenza. Allora Marino retrocesse i colloqui con Pietrostefani, e disse di essere stato lui ad avvicinare me, solo, a un angolo di strada, dopo un tranquillo sciamare collettivo alla conclusione del comizio. Però io avevo testimoni sui miei movimenti – compresa la persona che alla fine del comizio mi aveva accompagnato a casa. E Marino si era dimenticato che durante e dopo quel comizio era caduta una pioggia “battente e insistente”, un “acquazzone” ecc. (così i quotidiani di destra e di sinistra del tempo, oltre che decine di fotografie e centinaia di testimonianze), ciò che rendeva implausibile la passeggiata al termine della quale piazzava il colloquio con me. Colloquio il cui contenuto variò turbinosamente, riducendosi via via, da una dettagliata discussione politica e trattazione di istruzioni operative, “una decina di minuti”, a un mio frettoloso assenso alla domanda sull’intenzione di uccidere Calabresi – “una conferma”, “trenta secondi”. Dopo di che, riferisce Marino, “salutai e ripartii per Torino”. Però io osservai che, mentre non c’era stata nessuna passeggiata e nessun bar e nessun colloquio (e c’era stata quella pioggia dirotta, che alcune sentenze, maghe della pioggia, hanno poi deciso di abolire, o di assottigliare fino a una amena pioggerellina), in realtà quella sera, di lì a qualche ora, dopo cena, Marino era venuto a casa mia (la casa pisana della mia famiglia, da lui già frequentata in passato) insieme a numerose altre persone, come avveniva dopo una manifestazione. Anche di questo c’erano numerosi testimoni. Allora Marino disse che sì, ora si ricordava, era venuto, del resto che c’era di strano che lui venisse da me, “quella casa era un porto di mare”. C’era di strano che si era inventato un colloquio stradale nella folla e nella pioggia mai avvenuto, e si era dimenticato una comoda visita domestica. Questo – riassunto in breve, ma è più grottesco – è tutto il complesso di prove che mi hanno fatto condannare (benché strada facendo ci sia stato un annullamento della Cassazione a Sezioni Unite, un’assoluzione in Corte d’Assise d’Appello per tutti, compreso il pentito, una riapertura e richiusura del processo per revisione) come mandante di un omicidio. Non ne avrei riscritto qua, se non perché faccia da premessa all’intervista di domenica di Marino al quotidiano L’Avvenire. (La storia è ricostruita da me nella “Memoria” uscita in volume da Sellerio, 1990, e in molte successive occasioni). Ora Marino è fra i commentatori del “contenuto del libro di Sofri” che non hanno ancora visto nemmeno da lontano il libro di Sofri. Nel quale, fin dal titolo dato all’intervista, si parla di “prime ammissioni”. “Vedo qualcosa di nuovo in queste parole”, decreta Marino, che però non può accontentarsene: esige una confessione completa. “Per la prima volta Sofri dice che Calabresi... non era nella sua stanza”. Bene: tralascio il resto (Marino che conferma l’impossibilità di darmi la grazia, e così via) e osservo che la bagarre preventiva sul mio libro ne ha provocato una distorsione tale che chi lo leggerà sarà indotto a rilevarne la distanza dalle “anticipazioni”. Io stesso, costretto come sono a correre dietro ai fraintendimenti e alla sequela di commenti campati in aria, mi rammarico di pregiudicare una lettura netta e delicata. Un aspetto impressionante del fraintendimento è che le frasi sulle quali si è concentrato il chiasso – con lo strillo: “Per la prima volta Sofri ammette...”, il dettaglio su Calabresi assente, “probabilmente”, dalla sua stanza ecc. – sono le stesse sulle quali poco fa si scatenò il chiasso – “Sofri rivendica l’omicidio”... Vedrete. Che abbia contribuito a questo in modo decisivo un “lancio” di Repubblica, che doveva conoscere un po’ meglio me e i miei pensieri, e ha invece sottolineato “la prima volta” di mie parole scelte a presentare il libro, non poteva che dispiacermi doppiamente. Per concludere su Marino. Penso poco a lui. Che cosa fareste con una persona che, per uscire da una sua disperazione, vende calunniosamente il prossimo, e ne viene premiato non facendo un solo giorno di carcere, e passando per cristiano esemplare sulle pagine dell’Avvenire? Io inclino da tempo alla considerazione revisionista della figura di Giuda, strumento da compiangere di un disegno provvidenziale, o traditore per troppo amore, e comunque bersaglio – “Porco Giuda” – di un odio assai imparentato all’antigiudaismo. Però a volte vacillo. Sono variamente detenuto da più di undici anni, e non devo vergognarmi di me a ogni nuova mattina. Chissà con che beati pensieri chiude Marino ognuna delle sue oneste giornate.
La notte che Pinelli Una storia di ieri, raccontata a chi c’era, e forse pensa di conoscerla, e specialmente a chi non c’era e ha voglia di sapere e capire.
304 pagine 12.00 Euro
Adriano Sofri (su 'Il Foglio')
Allora: vent’anni fa – ventuno, quasi – Leonardo Marino, già mio compagno e amico, si intrattenne segretamente per un mesetto con un alto ufficiale dei carabinieri, cui era stato avviato da un alto ufficiale del Pci. Quando finalmente fu portato davanti a un magistrato, e mise a verbale la sua confessione, io e altre due persone fummo arrestati. Marino disse – in rapida successione – le seguenti cose. Che la sera di un mio comizio pisano che commemorava la morte in carcere per bastonate del ragazzo Franco Serantini, “era stato avvicinato da Pietrostefani e da Sofri”. Pietrostefani potè subito dimostrare di non essersi trovato a Pisa quel giorno – era colpito da un mandato di cattura per un volantino, e le meticolose fonti di polizia escludevano la sua presenza. Allora Marino retrocesse i colloqui con Pietrostefani, e disse di essere stato lui ad avvicinare me, solo, a un angolo di strada, dopo un tranquillo sciamare collettivo alla conclusione del comizio. Però io avevo testimoni sui miei movimenti – compresa la persona che alla fine del comizio mi aveva accompagnato a casa. E Marino si era dimenticato che durante e dopo quel comizio era caduta una pioggia “battente e insistente”, un “acquazzone” ecc. (così i quotidiani di destra e di sinistra del tempo, oltre che decine di fotografie e centinaia di testimonianze), ciò che rendeva implausibile la passeggiata al termine della quale piazzava il colloquio con me. Colloquio il cui contenuto variò turbinosamente, riducendosi via via, da una dettagliata discussione politica e trattazione di istruzioni operative, “una decina di minuti”, a un mio frettoloso assenso alla domanda sull’intenzione di uccidere Calabresi – “una conferma”, “trenta secondi”. Dopo di che, riferisce Marino, “salutai e ripartii per Torino”. Però io osservai che, mentre non c’era stata nessuna passeggiata e nessun bar e nessun colloquio (e c’era stata quella pioggia dirotta, che alcune sentenze, maghe della pioggia, hanno poi deciso di abolire, o di assottigliare fino a una amena pioggerellina), in realtà quella sera, di lì a qualche ora, dopo cena, Marino era venuto a casa mia (la casa pisana della mia famiglia, da lui già frequentata in passato) insieme a numerose altre persone, come avveniva dopo una manifestazione. Anche di questo c’erano numerosi testimoni. Allora Marino disse che sì, ora si ricordava, era venuto, del resto che c’era di strano che lui venisse da me, “quella casa era un porto di mare”. C’era di strano che si era inventato un colloquio stradale nella folla e nella pioggia mai avvenuto, e si era dimenticato una comoda visita domestica. Questo – riassunto in breve, ma è più grottesco – è tutto il complesso di prove che mi hanno fatto condannare (benché strada facendo ci sia stato un annullamento della Cassazione a Sezioni Unite, un’assoluzione in Corte d’Assise d’Appello per tutti, compreso il pentito, una riapertura e richiusura del processo per revisione) come mandante di un omicidio. Non ne avrei riscritto qua, se non perché faccia da premessa all’intervista di domenica di Marino al quotidiano L’Avvenire. (La storia è ricostruita da me nella “Memoria” uscita in volume da Sellerio, 1990, e in molte successive occasioni). Ora Marino è fra i commentatori del “contenuto del libro di Sofri” che non hanno ancora visto nemmeno da lontano il libro di Sofri. Nel quale, fin dal titolo dato all’intervista, si parla di “prime ammissioni”. “Vedo qualcosa di nuovo in queste parole”, decreta Marino, che però non può accontentarsene: esige una confessione completa. “Per la prima volta Sofri dice che Calabresi... non era nella sua stanza”. Bene: tralascio il resto (Marino che conferma l’impossibilità di darmi la grazia, e così via) e osservo che la bagarre preventiva sul mio libro ne ha provocato una distorsione tale che chi lo leggerà sarà indotto a rilevarne la distanza dalle “anticipazioni”. Io stesso, costretto come sono a correre dietro ai fraintendimenti e alla sequela di commenti campati in aria, mi rammarico di pregiudicare una lettura netta e delicata. Un aspetto impressionante del fraintendimento è che le frasi sulle quali si è concentrato il chiasso – con lo strillo: “Per la prima volta Sofri ammette...”, il dettaglio su Calabresi assente, “probabilmente”, dalla sua stanza ecc. – sono le stesse sulle quali poco fa si scatenò il chiasso – “Sofri rivendica l’omicidio”... Vedrete. Che abbia contribuito a questo in modo decisivo un “lancio” di Repubblica, che doveva conoscere un po’ meglio me e i miei pensieri, e ha invece sottolineato “la prima volta” di mie parole scelte a presentare il libro, non poteva che dispiacermi doppiamente. Per concludere su Marino. Penso poco a lui. Che cosa fareste con una persona che, per uscire da una sua disperazione, vende calunniosamente il prossimo, e ne viene premiato non facendo un solo giorno di carcere, e passando per cristiano esemplare sulle pagine dell’Avvenire? Io inclino da tempo alla considerazione revisionista della figura di Giuda, strumento da compiangere di un disegno provvidenziale, o traditore per troppo amore, e comunque bersaglio – “Porco Giuda” – di un odio assai imparentato all’antigiudaismo. Però a volte vacillo. Sono variamente detenuto da più di undici anni, e non devo vergognarmi di me a ogni nuova mattina. Chissà con che beati pensieri chiude Marino ognuna delle sue oneste giornate.
La notte che Pinelli Una storia di ieri, raccontata a chi c’era, e forse pensa di conoscerla, e specialmente a chi non c’era e ha voglia di sapere e capire.
304 pagine 12.00 Euro
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