giovedì, gennaio 08, 2009

Il sacrificio dei bambini



da La Repubblica del 7 gennaio 2009

di Adriano Sofri

Quando i grandi giocano alla guerra, i bambini muoiono. Da Gaza, le immagini dei bambini ammazzati, mutilati, terrorizzati invadono i mezzi di comunicazione. Al Jazeera le trasmette in continuazione, inframmezzate a servizi e commenti. A sinistra, Hilmi al Samuli piange accanto ai corpi di due figlioletti e di un nipote. A destra, il corpo di una bimba emerge dai resti della sua casa a Zeitun.

Le redazioni dei giornali le accumulano, e si chiedono se metterle in pagina o no, e come. La risposta è facile quando l'esitazione è legata alla crudezza eccessiva, che può ferire lo spettatore. Ma già il verbo "ferire", impiegato nel suo senso traslato in un contesto simile, fa vergognare di averlo pronunciato. Siano pure feriti, gli occhi distratti e illesi degli spettatori: l'eccesso di crudezza non è dei fotogrammi, ma della realtà. Alla realtà si può scegliere di aprire o chiudere gli occhi, chi abbia la provvisoria fortuna di starne alla larga: ma vedere è una condizione per decidere meglio come destinare la propria voce pubblica, o la propria privata preghiera, o anche solo il proprio pianto. Bisogna risparmiarne la vista ai bambini, si avverte giustamente. Tuttavia c'è un doppio inciampo. Il primo: che ci si adopera per sottrarre bambini alla vista di bambini. Il secondo: che i bambini, anche i più premurosamente protetti, vengono sempre a sapere, per certe loro vie misteriose, le cose dalle quali i grandi vogliono ripararli, e ricevono e custodiscono in silenzio la notizia che nel mondo scoppiano guerre che uccidono e spaventano i bambini.

Più complicata è la decisione di chi fa i giornali quando si sa che sui bambini, sul loro dolore e il loro spavento, si combatte una guerra di propaganda brutale quanto quella delle armi. Basterebbe allargare l'obiettivo per inquadrare, attorno al primo piano di una vittima bambina, la ressa delle macchine fotografiche e delle telecamere. Morte amputazione e pianto di bambini vengono esibiti per guadagnare un consenso alla propria causa e una ribellione alle ragioni del nemico.


E non ci si limita all'esibizione: si può spingersi, come volontari terzi e disperati confidano in privato, a esporre deliberatamente all'azzardo peggiore i bambini della propria stessa gente, e perfino a ostacolarne il soccorso per rincarare la rendita del lutto e della commozione universale. Il cinismo politico e il fanatismo religioso cospirano alla lugubre venerazione del martirio dei bambini. Fra gli uomini che ostentano i piccoli corpi esanimi ce ne sono che hanno auspicato e provocato l'orrore che si va consumando. Tutto questo si sa, nelle redazioni dei giornali. A tutto questo si pensa. Ma non può bastare. Non può indurre a tenere per sé gli occhi rossi e accantonare le fotografie che spezzano il cuore. Una di queste fotografie l'ho appena ricevuta, attraverso la posta elettronica, e chi mi ha avvisato dell'inoltro non ha potuto trattenersi dall'avvisare: "E' tremenda". Le guerre, quelle vere e orrende, e quelle orrende che ne usurpano il nome, si trovano sempre qualche viso, qualche corpo infantile a ricordarle e deprecarle. C'è una ragione mista, di angoscia soffocante e di compiacimento della brutalità, che spiega la fortuna enorme di un tema come la strage degli innocenti nelle arti figurative.

La strage di Erode: non ci fu, probabilmente. Se ci fu, calcolano i demografi sulla base della popolazione presunta di Betlemme, uccise una ventina di bambini sotto i due anni. La demografia di Gaza diventa agghiacciante, quando suona la sirena delle bombe. La maggioranza della popolazione ammassata in quel fazzoletto di terra è composta di bambini e ragazzini: un giardino d'infanzia in un miserando zoo umano.
Non c'è nessun Erode geloso a mandare aerei e carri sulla striscia di miseria e rancore. Gli israeliani vogliono davvero ridurre al minimo le vittime civili. Non possono essere così disumani né così imbecilli da mirare a colpire i bambini. Ma quando si interviene con un simile spiegamento di forza in un enorme giardino d'infanzia, tanti (quanti?) bambini moriranno, resteranno feriti e mutilati, e, quelli che sopravviveranno, non lo dimenticheranno più, e assicureranno altre generazioni al trionfo dell'odio e della vendetta.

La gente di Israele e i suoi governanti ha un (provvisorio, minacciato, odiato) vantaggio nelle risorse possibili della forza e della ragione. Hamas bersaglia da anni case, scuole, strade di una popolazione civile israeliana cui è impedita una normale vita quotidiana. Hamas giura la distruzione di ogni cittadino di Israele e di ogni ebreo sulla terra. Hamas addestra ed esalta gli assassini suicidi. Hamas si serve vilmente degli scudi umani, predilige bambini donne e vecchi, tramuta moschee e pareti domestiche in ripari di armi e mine. Ma lo spregevole cinismo di Hamas libera Israele dalla responsabilità verso quelle donne, quei vecchi, quegli uomini, quei bambini? Che il mio nemico si nasconda dietro scudi umani mi autorizza a colpire? Potrò guardare quelle fotografie diffuse e ostentate dal mio nemico - una testa di bambina ingoiata dai detriti della sua stanza, gli occhi chiusi, la nera bocca spalancata a inghiottire la terra; tre piccoli cadaveri deposti su un pavimento di obitorio fortunoso, fratellini di Zejtun come messi a dormire vicini dopo una giornata di giochi, se non fosse per il sangue che ne allaga le vesti - con una commozione compensata dalla persuasione che non è colpa mia? Molti altri pensieri, molte altre emozioni contrastanti e laceranti suscitano queste immagini. Con una sola cosa certa: che bisogna pubblicarle.

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