venerdì, novembre 14, 2008

Tristi e consolati

"La Repubblica", 14 NOVEMBRE
ADRIANO SOFRI
Una sentenza, davvero definitiva, ci rende tristi e consolati. Tristi, perché pronuncia la sua decisiva e superflua parola, la penultima parola, sull´irruzione intrattabile della disgrazia nella vita di una persona, dei suoi cari, della sua comunità. Consolati, perché rifiuta di piegare la legge alla sopraffazione dell´amore. Niente era detto una volta per tutte in questa vicissitudine, salva una cosa, la più importante: da che parte stesse l´amore. Ancora una volta, una gran parte della gerarchia della Chiesa e dei suoi paladini laici ha mostrato dietro l´oltranza della difesa della vita una mancanza di amore per le persone. Per questo, mi pare, alcune voci prestigiose di quelle stessa gerarchia hanno scelto una discreta differenza, scambiata dai loro avversari come un cedimento al relativismo o addirittura come un sacrilegio. In questa lunghissima agonia, alcuni di noi hanno detto: Con tutto il rispetto per Beppino Englaro, stiamo dalla parte della Chiesa. Altri di noi hanno detto: Con tutto il rispetto per la Chiesa, stiamo dalla parte di Beppino Englaro. E´ stato impressionante vedere quale enorme potenza si misurasse con un uomo solo come lui - solo, con sua moglie e sua figlia, e l´obbligo d´amore verso di lei. Ogni pronunciamento di quella potenza competente per definizione a ciò che è buono e sacro sembrava, più che abbatterlo, passargli sopra e oltre, come a un minimo incidente. "La Chiesa non fa che ribadire l´immutabilità dei suoi principii". Ma i principii che travolgono la singolarità delle persone e delle loro pene possono diventare terribili, summa iniuria. In questi giorni, di fronte all´accanimento retorico sul destino di Eluana, non ho potuto fare a meno di pensare alla questione così tragicamente esacerbata del silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah: il silenzio di fronte allo sterminio di milioni, una tempesta di tuoni addosso al signor Beppino Englaro. Non so come lui non sia impazzito, e forse lo è: ma è un fatto che la sua spropositata solitudine e piccolezza gli ha fatto crescere attorno, al di là della battaglia per un riconoscimento di diritto della sua buona ragione, la solidarietà affettuosa di una comunità civile. Niente di politico, o di ideologico: ma il trasporto di persone via via più decise a mettersi nei suoi panni, a immaginarsi lui o sua moglie - e anche a immaginarsi Eluana. Questa immedesimazione non significa affatto una scelta univoca: stare sempre in favore della sospensione delle cure o dell´alimentazione artificiale, o stare sempre contro. Significa sperare di essere liberi di sé, poter contare sul proprio vero prossimo, non essere espropriati della propria vita e della propria morte. Alla legge, bisogna chiedere di aiutare l´umanità, non di schiacciarla. Genitori che si trovino nella condizione di Beppino e Saturna Englaro, e vogliano assicurare comunque alla propria creatura ogni cura possibile e nell´ambiente più confortevole, devono essere aiutati a farlo. Viva la Casa dei risvegli, che certo non vuol diventare obbligatoria. Persone che, per sé o per i propri cari, vogliano sperare oltre e contro la speranza, devono essere libere di farlo. Così come chi veda che la speranza è impossibile, e voglia adempiere a quella che conobbe provatamente e intimamente come la volontà della persona che ama. Quando leggo documenti come il recente parere definitivo del Comitato di bioetica sul "Rifiuto e rinuncia consapevole al trattamento sanitario nella relazione paziente-medico" e le sue "postille", sono colpito dagli equilibrismi sintattici e lessicali, e mi dico che è inevitabile di fronte a ciò che deve mettere assieme esattezza rigorosa e duttile mediazione. Ma resto interdetto quando sento che non esiste un diritto di morire, ma tutt´al più una libertà di morire. La morale si fa leguleia, il diritto si fa moralista. Noi umani siamo i mortali, siamo condannati a morire. Ma siamo anche liberi di morire. Senza di che saremmo solo condannati a vivere - è questa condanna che l´integrismo religioso chiama "dono", così da proibircene il rifiuto. Posso vivere solo se posso morire, e vivo perché decido di non morire, fino a quando non sia piuttosto la morte a promettersi come una liberazione. Vita e salute sono bensì diritti indisponibili, ma non per ciascuna persona che vive e sta bene e sta male. La peggiore delle tirannidi non è quella che uccide i suoi sudditi: è quella che arriva a impedire loro perfino di uccidersi. Una violenza simile non ha bisogno di una dittatura totalitaria per insinuarsi. Sono stato nutrito da una alimentazione enterale prolungata, che mi ha restituito alla coscienza. Se immaginassi di trovarmi in una condizione irreversibile di incoscienza e di essere alimentato artificialmente per anni - diciassette anni, Eluana - senza che qualcuno potesse liberare, con me, chi mi vuole bene, impazzirei. Questo è quello che pensa e sente un´enorme maggioranza di cittadini: quando è stata la volta di Welby e del suo funerale, o del signor Englaro e della sua domanda alla giustizia. Domanda eroica e spaventosa, perché non è detto che ciò che si fa per amore possa sempre esser fatto per legge. Voglio dire una cosa: che la larga maggioranza di cittadini italiani, di persone, che sta oggi dalla parte dei signori Englaro, non basta ad avere ragione. Le maggioranze, anche e specialmente quelle schiaccianti, possono avere il peggiore dei torti, e farsene forti. E la Chiesa che dice enormità così impopolari e scandalose può, proprio per questo, avere ragione. Bisogna prendere sul serio qualcuno che non esita ad ammonire che da oggi in Italia è in vigore la pena di morte, e per giunta solo per le creature inermi e "inutili". Qualcuno che si spinge a testimoniare che la Suprema Corte a Sezioni Unite è un´accolita di assassini legali. (Mai parole così dure furono pronunciate contro la vera pena di morte, nemmeno quando il Vangelo è lì a suggerirle, nemmeno per la quotidiana lapidazione dell´adultera). Questa insopportabile invadenza sarebbe la più ammirevole e benvenuta, se avesse ragione. Magari fosse praticata con una simile intransigenza contro le tirannidi terrene. Ma non ha ragione. Chiama morte per fame e sete la sospensione di una terapia complessa come l´alimentazione artificiale in uno stato vegetativo senza ritorno. Chiama condanna capitale il desiderio di lasciare andare una vita che si sarebbe spenta da tanto tempo. Chiama fedeltà ai principii il rifiuto di misurarsi con le vicende singolari, e rigore morale il disprezzo per il dolore e la pietà delle persone. A me non pare che la Cassazione abbia autorizzato il tutore di Eluana, suo padre, a interromperne l´alimentazione malamente detta forzata: mi pare piuttosto che si sia astenuta dal vietarglielo. Che abbia così riconosciuto, come avevano fatto prima altre corti di ogni grado, e la stessa corte suprema, che la sospensione delle terapie nel caso di Eluana, di una sua documentata e circostanziata manifestazione di volontà, e di un suo stato irreversibile, era autorizzata dalle leggi vigenti, e dalla stessa Costituzione. La sentenza è stata accolta ieri da molte parole durissime, e alcune furibonde. Persone davvero convinte che non si tratti di interrompere un lunghissimo accanimento terapeutico, bensì di compiere un omicidio - è impressionante che un confine così sottile separi due ipotesi così smisurate - hanno ogni diritto di dirlo con tutto il fiato di cui dispongono. E´ importante il modo. L´altroieri ho letto sull´Avvenire un editoriale di un autore intelligente e profondo, tutto imperniato sulla dichiarazione che la sentenza della Cassazione, rigettando il ricorso, avrebbe sancito esattamente l´introduzione della pena di morte nella repubblica italiana. Lo scrittore trovava incomprensibile l´accanirsi del padre di Eluana "non affinché le cure e la pazienza di altri sopportino le pene e le premure, bensì per la sua morte", e qui si lasciava sfuggire questa frase: "Per toglierla di torno". Ho provato un brivido. Spero che voglia ripensarci. Quelle parole, che davvero mi auguro sfuggite, mostrano per eccesso di che cosa si tratta oggi: della differenza fra chi pensa che il signor Englaro voglia "toglierla di torno", e chi pensa che voglia finalmente adempiere al voto della sua meravigliosa ragazza. Con un pensiero ulteriore e secondario, che tuttavia in tanti devono aver pensato: che cosa, se non l´attaccamento strenuo a quel retaggio, abbia permesso finora a quest´uomo solo di non togliersi di torno.

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