domenica, ottobre 05, 2008

Consigli per la catastrofe


da La Repubblica del 3 ottobre 2008

di Adriano Sofri

Consigli per la fine del mondo. Prima di tutto, tenersi nelle vicinanze dell’uscita. La fine del mondo infatti non avverrà mai del tutto: sarà l’allarme a rifinirla. Ma andiamo per ordine. C’è quell’espressione: panico nelle Borse. Singolare, no? Non per le Borse, per il panico. O per l’associazione fra i due. In apparenza, si tratta dei due capi della cosa: in basso c’è il panico, in altissimo l’euforia. L’euforia delle Borse. Ma non c’è affatto simmetria. In Borsa si va per giocare, una certa ilarità ci sta, e magari l’euforia. Tutt’al più qualche altro disgraziato diventa ricco. Ma quando la cosa va giù, giù davvero, e interviene il panico, il panico davvero, allora si salvi chi può. Per questo i veri grandi finanzieri, un momento prima di suicidarsi, sorridono e si fanno vedere alle corse dei cavalli e dicono: «Non c’è problema». Prendete l’esperimento del Cern. Non che si dovesse davvero temere che andasse storto, e che un buco nero ingoiasse tutto e buonanotte. Però costringeva a pensare che se davvero una comunità umana avesse a portata di mano un esperimento in cui o la va o la spacca, lo farebbe. In fondo è questo un compendio possibile della storia del genere umano fin qui: o lava o la spacca. Bè, è andata, direte voi. E’ vero, per il momento. Dunque, ammettiamo che davvero l’esperimento abbia queste due possibilità estreme (non importa quanto probabili rispettivamente). Se riuscisse, riprodurrebbe il Big Bang, fantastico, la fine del mondo - euforia fra i ricercatori e i tecnici. Se fallisse, sarebbe la catastrofe, la fine del mondo - panico fra i passanti. Ammettete che le due poste non sono comparabili. La distruzione non vale la creazione, il capo non è la coda. Del resto il corto circuito di Ginevra è suggestivo come una provvidenza- come se il Creatore ci avesse messo, non dico tanto, malo zampino. Ora, si dice, in America non è il capitalismo che è andato a sbattere, ma una certa specie di capitalismo. Già. Però per il socialismo - quello reale, intendo, quello che si chiamò comunismo non si può dire, se no diventa plausibile una rifondazione. «Una certa specie di socialismo»... Gli americani ci stanno provando: espropria la gente oggi, e promettigli il sestuplo domani. Il comunismo c’è riuscito, un po’ di volte: ma non l’ha mica fatto votare dal Congresso. In verità queste congiunture estreme servono solo a illudersi che esistano il liberismo e lo statalismo, anzi l’iperliberismo e l’ultraprotezionismo, e che bisogni stare o di qua o di là, ma sono solo canzonette. Il capitalismo, per mostrarsi razionale, organico - il"sistema" - aveva bisogno dello specchio nero del comunismo. Da quando ha perso l’ombra, la sua è apparsa l’euforia dell’ubriachezza. Esiste al mondo un colossale e minuzioso guazzabuglio cui, per esorcismo, si dà il nome di capitalismo. Il comunismo era una parte, faziosissima, che è rovinosamente e fortunatamente fallita: non a caso nel crollo di un muro, come una galera. Restarono macerie da sgombrare, e lo sgombero si è interrotto. Il capitalismo per i crolli predilige le Borse, e tocca il fondo perché è diventato tutto. Tutto è capitalismo, dunque il capitalismo è niente. Però quando il meccanismo si inceppa, i ricchi possono diventare più ricchi o cadere in disgrazia, i poveri sono rovinati e basta. I poveri infatti hanno pochissimo da perdere: ma quel pochissimo li teneva stentatamente in vita. I poveri lo sanno, o comunque lo sentono, e perciò provano uno speciale spavento di fronte al crollo delle Borse. Se no potrebbero ridersela. Invece no. Comunque, c’è ancora liquidità sufficiente. E se non c’è, la stampiamo. Non sarà il piano quinquennale, ma a mali estremi estremi rimedi. Se l’erano inventato per questo, il socialismo: per rimediare. Poi si vide che il rimedio eccetera. Adesso ci si butta dall’altra parte. In Austria per esempio, come l’altra volta. In Baviera hanno appena perso tutti. Beninteso, la civiltà non può essere così fragile. Migliaia di anni, e poi un intero dopoguerra (la Nostra Guerra). La crisi delle Borse non basterà a far rovinare dalle fondamenta una così bella e sofisticata macchinazione. Bè, non lei da sola. La questione è il panico. A un certo punto correrà una voce: O la borsa o la vita! E sarà come quando in una discoteca si alza un grido: Al fuoco! Allora la musica si spezzerà, cinque miliardi di persone, più o meno, smetteranno di colpo di ballare e correranno verso le uscite di emergenza calpestandosi e travolgendosi selvaggiamente. (L’altro miliardo e mezzo non ballava già, era rannicchiato e guardava i ballerini senza capire). Così può venire la fine del mondo. Non per l’incendio, che può scoppiare, o anche no: ma per il panico. Ecco perché conviene tenersi vicini all’uscita, in generale. Ho già avvistato, all’imbrunire, pattuglie di direttori di banca e commercialisti che si aggirano attorno al recinto del mio pollaio.

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