lunedì, settembre 22, 2008

Altro che lobby, di Pinelli parlo solo io. Sulla sua morte una sentenza paradossale

da Il Riformista del 22 settembre 2008,
di Adriano Sofri
Gentile Gerardo D’Ambrosio, pur così spazientito, consideri le mie obiezioni alla sua intervista di sabato al Riformista. Intanto lei è stato fuorviato: Licia Pinelli ha ripetuto i suoi pensieri non dopo che io ho «riaperto» il caso, bensì in un colloquio destinato a essere pubblicato in libro, dunque avvenuto parecchi mesi fa. Le mie osservazioni sulla sua sentenza del 1975 sono esposte, finora, nel volume da me curato che ne pubblicò il testo integrale, col titolo "Il malore attivo dell’anarchico Pinelli", Sellerio 1996. Le mie ulteriori osservazioni saranno espresse nel libro che sto scrivendo, e allora, se gliene resterà voglia, lei potrà valutarle. Intanto, le sarei grato se, nonostante la mia condanna ingiusta - lei prendesse in conto quello che dico, non quello che si dice che io dica. Quanto alla Corte che ci condannò, come ho più volte ricordato, essa accettò di giudicarci per un omicidio comune, evitando, nonché l’imputazione di terrorismo, quella stessa di associazione sovversiva. Dunque la magistratura fu, fin dall’istruttoria, la prima a servirsi di una distinzione fra un omicidio politico e il terrorismo, che oggi argomentata da me la scandalizza. E che cosa vuol dire che c’è una lobby interessata a sostenere che Pinelli fu assassinato? Io, per esempio, dubito fortemente che Pinelli sia stato assassinato. Inoltre trovo, non da oggi, del tutto convincenti i risultati della sua indagine su alcuni punti che lei ha ieri ricordato, come l’origine della puntura d’ago nella piega del gomito di Pinelli, e ovviamente il fatto che Pinelli arrivò vivo in ospedale, e fu certificato morto dopo quasi due ore. Come lei ricorderà, questa circostanza è anzi drammaticamente problematica, perché né Luigi Calabresi né i quattro sottufficiali presenti nella sua stanza del quarto piano al momento della precipitazione di Pinelli scesero nel cortile nel quale Pinelli agonizzava - lo fece solo, fra quei presenti, l’ufficiale dei carabinieri Lograno, e lo fecero moltissimi altri membri del personale di polizia. Eppure avrebbe potuto esserci un angosciato impulso umano - tanto più per quel Calabresi che ormai viene presentato come poco meno che «amico» di Pinelli - o l’interesse a raccogliere le ultime parole di un interrogato così fatale. Su questa circostanza lei nella sua sentenza pronunciò un giudizio moralmente severo, lo stesso dal quale la signora Gemma Capra si dichiarò tanto ferita (nel suo libro del 1990, "Mio marito il commissario Calabresi"). Lei ora dice con una certa impazienza: «Io so solo che non fu ucciso». Guardi che Licia Pinelli disse a suo tempo: «L’unica cosa di cui in tutti questi anni sono stata veramente certa, è che Pino non si è ucciso». In mezzo, c’è una gamma di possibilità. Quella che lei scelse, il malore con uno slancio attivo, fu motivata non dagli esperimenti scientifici - le prove di caduta coi manichini, quelle in piscina - ma, contro quelli, da una ardua escursione psicologica, che volle mettere assieme l’innocenza di Pinelli con quella dei suoi interroganti, così da accantonare questioni come l’eventuale responsabilità dei ripetuti "saltafossi" che addebitarono ad un tratto a Pinelli - trattenuto illegalmente - addirittura la colpa degli attentati del 25 aprile, dell’8 agosto, e del 12 dicembre 1969; o almeno questioni come l’omessa custodia. La sua sentenza venne cinque anni dopo la caduta di Pinelli, tre anni dopo l’assassinio di Calabresi. Lei intanto era diventato (prima di esserne espropriato) titolare dell’indagine su Piazza Fontana, e interamente consapevole della falsità della "pista anarchica" in tutta quella catena di attentati, culminata nella strage. La sua tesi conclusiva sulla morte di Pinelli suonava paradossale ed esclusa da tutti i periti, d’ufficio e di parte - verosimiglianza del malore, "non per collasso... ma per improvvisa alterazione del centro di equilibrio"- e oltretutto dichiarava false tutte le testimonianze dei presenti nella stanza (il balzo felino, il tuffo, il si è buttato...) e tuttavia non penalmente rilevanti. Essa aveva l’effetto di assolvere tutti gli imputati non solo dall’accusa di omicidio volontario, ma anche da quella di omicidio colposo, inevitabile se fosse stata accolta l’ipotesi del suicidio. Come vede, le convinzioni che lei mi attribuisce, per giunta macchiate d’infamia, non sono le mie, né quelle di oggi né quelle che avanzai da molti anni. Quanto alla sua insofferenza per quella che le sembra una - infame anche lei - campagna di una lobby interessata a sostenere che Pinelli fu assassinato, guardi che non è così: io sono pressoché solo a parlare di questo argomento, e come ho appena cercato di spiegarle ne parlo in tutt’altro modo. Dev’esserle nel frattempo sfuggito che, col favore degli anni e del vento, si sono moltiplicate le voci ardite che insinuano, quando non danno per scontata, la colpevolezza di Pinelli. Le ricorderò soltanto quel superiore del commissario Calabresi, Antonino Allegra, dalla sua sentenza del 1975 dichiarato colpevole di arresto illegale di Pinelli ma prosciolto per intervenuta amnistia, che trasse occasione dalla propria audizione alla cosiddetta Commissione Stragi (luglio 2000) per ripetere le insinuazioni su Pino Pinelli, trovando un significativo consenso in alcuni membri parlamentari di quella Commissione. Il losco Pinelli, per quel funzionario e non solo per lui, resta fortemente indiziato di tutto, compresa la strage, compresi gli attentati del ‘69 per i quali la giustizia italiana riuscì nella rara impresa di arrivare a sentenza definitiva nei confronti di Ordine Nuovo e della "cellula veneta". Lei può insultarmi - chiunque può, e intuisco che sia una vera pacchia - ma può anche provare a vedere che cosa in effetti dico. Della seconda cosa le sarei grato.

1 Commenti:

Anonymous Anonimo ha detto...

Salve, vorrei un chiarimento circa l'affermazione: "... Io, per esempio, dubito fortemente che Pinelli sia stato assassinato....".
Grazie.

Sergio

6:59 PM  

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