martedì, novembre 11, 2008

Il Paese del demerito

"La Repubblica" 4 novembre
ADRIANO SOFRI
C´è una ribellione di giovani o una congiura di baroni? Non c´è più morale, contessa. L´altro giorno a Firenze, verso la testa di un corteo enorme e tuttavia bello e sparpagliatissimo, c´era una fila di ragazze, e un solo ragazzo, pistoiesi, che portava uno striscione bianco con su scritto: "Anche l´operaio vuole il figlio dottore". Non so quanti, fra le decine di migliaia di sfilanti, sapessero riconoscere la citazione (dalla canzone: Contessa, Paolo Pietrangeli, 1968, rinnovata dai Modena City Ramblers, 1994). Ma l´importante è che l´esclamazione, che all´epoca scandalizzava le contesse, vada ancora bene, anzi forse oggi più di ieri. Perché oggi la giostra si è fermata, ed è già un colpo di fortuna se il figlio dell´operaio riesce a diventare operaio. C´entra la crisi economica, sì, ma non solo. E´ questione culturale, come si dice. Se no non si spiegherebbe come mai, anche in tempi grassi, la democrazia occidentale si sia andata fissando in vere e proprie dinastie. Si è badato troppo poco, nelle facoltà politologiche, alla fortunata successione ereditaria fra Bush padre e Bush figlio, o a quella sfiorata fra Clinton marito e Clinton moglie. E già prima ai Kennedy, descritti da quel titolo ambivalente di clan. La successione dinastica, specialmente se combinata col petrolio, come per i Bush, avvicina caricaturalmente gli Stati Uniti all´Arabia Saudita, benché non viceversa. Ora Obama, che la sua vera partita l´ha vinta quando ha fatto fuori Hillary, è il campione senza precedenti della mobilità sociale, l´americano che si è fatto da sé, partendo dal punto più inverosimile. Come un corteo di ragazzi di Chicago o di Nairobi con uno striscione che dica: "Anche il pastore di capre keniota vuole il figlio presidente degli Stati Uniti". Sto infatti suggerendo una stretta analogia fra la corsa degli studenti italiani e quella di Obama alla Presidenza. Non vi sembri troppo. E´ il minimo. Prima vorrei rivolgere un saluto reverente all´aristocrazia di un tempo. Gran bontà dei cavalieri antichi, Noi fummo i gattopardi e ora verranno le jene, eccetera. Anche tra gli operai si riconobbe un´aristocrazia. Si andava orgogliosi del mestiere che si tramandava di padre in figlio: "mio nonno era falegname, mio padre anche, e io sono falegname". Anche in America, anche i becchini. Alla fine di "Everyman" di Philip Roth un nero scava una fossa. "Ci vuole un´oretta. E´ la parte più difficile del lavoro. Una volta fatto questo, scavo. Prima scavo. Dove il terreno è più duro scava mio figlio, che è più forte di me. Lui comincia quando ho finito io". Il figlio del farmacista, nonostante i decreti Bersani, fa il farmacista. Ma all´inizio del marzo scorso è morto sul lavoro a Genova un portuale: era figlio di un portuale morto sul lavoro. L´aristocrazia cercò o pretese di essere il governo dei migliori. Oggi promozione e cooptazione sociale selezionano i peggiori, con sempre maggior precisione, quanto più si abbassa il livello. Nessuno sa riconoscere a prima vista i peggiori come i peggiori, e farli salire. E´ un luogo comune per la politica, alla quale si è assegnato il nome di casta, ma è vero per tutti gli ordini costituiti e le corporazioni. E´ peculiarmente vero per mafia e camorra: il figlio del boss diventa boss, un po´ più fesso, un po´ più farabutto. Le mafie sono del resto l´esaltazione della "famiglia". Per la politica la cosa fa più impressione, perché una volta il ricambio della classe dirigente e gli "uomini nuovi" venivano attraverso i partiti, l´ideologia, i programmi. Bisognava magari essere servili, ma saperci fare. Oggi partitocrazia e plutocrazia (parola già impronunciabile, ma l´etimologia e la Borsa la riabilitano) promuovono uomini (e donne) nuovi e subito guadagni grazie al populismo, cioè alla demagogia. Si può partire da una speculazione edilizia, o da un trimestre prestato come guardia del corpo. La coincidenza fra politica e patrimonii spinge a garantirsi col vincolo di sangue. E anche la volontà di tutelare la purezza di creature politiche allevate a fideismo identitario. Non dev´essere sempre facile la vita del giovane Bossi. E´ la meritocrazia, alla rovescia. Si dice meritocrazia, si legge demeritocrazia. La legge elettorale le si adegua a perfezione. E´ vietato l´ingresso ai meritevoli e ai cani. La destra – che un tempo si voleva élitaria – ne vive. La sinistra ne muore. Niente di personale, ma la giovane candida candidata in cima di lista (dunque eletta) in Sicilia perché figlia, il cui curriculum si esauriva nel ricordo di una festa in cui a cinque anni aveva sventolato la bandiera democristiana, non fu un grande episodio. Me ne sono ricordato giorni fa, leggendo del ventenne rumeno, in carcere per truffa hackerista, che si è classificato primo ai test di ingresso al Politecnico di Milano. Ecco uno troppo svelto: lo aspetta l´America. Oggi gli "uomini nuovi" sono sempre più spesso mezzo stranieri, come Obama, o l´imperatore Adriano, e donne, cioè mezzo straniere comunque. Nella scuola la rotta è diventata madornale, tanto più se si ricordi che cosa davvero successe al tempo che chiamano il Sessantotto. I baroni lo pagarono caro. Il miglior ´68, semplicemente, non scambiava il merito con la meritocrazia, cioè con la gara a calpestare gli altri. Poi toccò anche a lui la selezione alla rovescia e il premio del baronato. Si diventa baroni quasi impercettibilmente, e senza colpa, come si mette su la pancia. La Lettera di don Milani è la vendetta per Gianni, che a scuola non va perché già lavora a Vicchio del Mugello, contro Pierino figlio del dottore. Pasolini era l´ultimo a crederci davvero, alla "brutta" poesia su Valle Giulia, che scrisse solo per sbrigarsi a scusarsene, e nel ´68 figli di papà ce n´erano davvero tanti, ma se ne andarono da casa, e non sono pochi quelli che non ci sono più tornati. La dinastia più regale d´Italia era quella degli Agnelli, ed ebbe il suo Edoardo. Perciò capita di rimpiangere le prime repubbliche durante le terze, e l´aristocrazia nelle file plebee al casting di Canale 5. La nobiltà trovava regole dure per i secondogeniti, il nepotismo dei primari piazza anche il quintogenito. Ora sentiamo com´è andata con Obama. E poi stiamo a vedere come andrà coi nostri studenti e ricercatori di ogni ordine. Non è detto, ma strada facendo possono anche trovarsi una terza via, cioè una via maestra, fra avventura populista e nepotismo baronale. Reinventare i concorsi, e restaurare un´idea della democrazia come società aperta. Questa democrazia chiusa della dismisura spinge alcuni molto in alto, e schiaccia altri a terra. Scuola e università sono, dopo la presidenza degli Stati Uniti, i luoghi in cui il meccanismo può essere rovesciato. Sarebbe un gran bel risultato. Poi, anche i dottori potrebbero tornare fieri dei loro padri operai, e viceversa.

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