venerdì, gennaio 04, 2008

Un augurio nel ricordo di Luca e Piero

da La Repubblica del 3 gennaio 2008

di Maria Antonietta Coscioni, Mina Welby
Caro Augias, sono passati quasi due anni dalla scomparsa di Luca Coscioni ed è passato da pochi giorni (20 dicembre) l'anniversario della morte di Pier Giorgio Welby. Luca e Piero hanno spe­so i loro ultimi anni nel tentativo di suscitare, anche tramite l'associazione che porta il nome di Luca ed a fianco dei Radicali Italiani, una riflessione ed un civile dibattito sulle scelte di fine vita. Le de­cisioni di medici coraggiosi come il dottor Riccio ed alcune sentenze innovative di questi ultimi mesi - in particolare quella della Cassazione che riconosce ad Eluana Englaro il diritto di morire, dopo 15 anni di agonia — sono anche il frutto della loro battaglia, che sentiamo il dovere di portare avanti per superare la situazione di empasse legislativa su questi temi. Infatti, non solo è ormai «vietato» parla­re di eutanasia, ma perfino la legge sul testamento biologico - simile a quelle esistenti nella grande maggioranza dei paesi occidentali — è bloccata in Parlamento. Eppure essa avrebbe tre risultati posi­tivi: consentire a chiunque di dichiarare in anticipo quali trattamenti medici accettare e quali rifiuta­re in caso di malattie gravissime o incurabili; ridurre l'accanimento terapeutico; dare anche ai medi­ci un quadro di certezza del diritto entro cui muoversi. Ci auguriamo che nel 2008 i parlamentari ita­liani, al di là della loro collocazione partitica e delle loro credenze religiose, vorranno riflettere sul mes­saggio di Luca e di Piero, colmando finalmente questo drammatico ritardo della nostra legislazione.
Maria Antonietta Coscioni, Mina Welby

Risponde Corrado Augias:


Se nell'anno che comincia questo Parlamen­to riuscisse a far andare avanti il progetto di testamento biologico avremmo fatto tutti, fedeli di una qualunque religione o di nessuna religione, tutti noi esseri umani, un notevole progresso. In questa lettera, che condivido, c'è un richiamo che mi sembra di particolare rilievo ed è là dove dice che l'istituto del testamento bio­logico darebbe anche ai medici «un quadro di certezza del diritto entro cui muoversi». Sappia­mo tutti che nella realtà ospedaliera ci sono me­dici pietosi che sospendono le cure davanti a ca­si disperati dove ogni terapia non serve ad altro che a prolungare inutilmente le sofferenze o un'esistenza ridotta a un puro vegetare. Questi generosi si muovono a loro rischio, agiscono spinti da un sentimento di misericordia che mol­ti, me compreso, hanno provato.

Con il loro comportamento sfidano, prima ancora della mancanza di norme certe, l'ipocri­sia che causa quella mancanza. Le cose avven­gono, lo sappiamo tutti, ma non si deve sapere. Importante è che non venga sancito il principio, proprio come accadde nel caso del povero Welby che avrebbe potuto abbreviare un'esi­stenza che rifiutava se non avesse voluto trasformare la sua sofferenza in una lotta e in un simbolo. Di tutte le crudeltà commesse in nome di una religione o di un'ideologia questa è tra le peggiori per la sua inutilità, per l'evidente strumentalità della motivazione, per la sua spietatezza.

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