A. Sofri Il punto sul fine vita: era tutto uno scherzo.
Il punto sul fine vita: era tutto uno scherzo.
In principio era il silenzioso operato di medici infermieri e famigliari, nei reparti di rianimazione e nelle case. Guidato dalla pietà, dal dolore, qualche volta dalla distrazione, qualche volta dal cinismo. Si faceva e non si diceva. Poi qualcuno si propose di definire legalmente ciò che era giusto fare, e riconoscere alle persone, prima che il diritto, la responsabilità e libertà nei confronti della propria vita. Con un vantaggio: una Costituzione che, benché scritta quando ancora non si presumeva di padroneggiare nascita vita e morte, e di modellare, all'occorrenza, sembianze di vita senza data di scadenza, riconosceva già inequivocabilmente quella responsabilità e libertà, dunque quel diritto. In realtà, quel diritto coincide con l'habeas corpus. Si sarebbe detto che il cristianesimo e i suoi interpreti ufficiali, compresi i cattolici, quando si ricordassero di essere cristiani, avrebbero tutelato con più premura quel diritto, per una preziosa diffidenza verso l'invadenza statalista e per una peculiare attenzione al valore della persona e della sua cerchia di relazioni famigliari e sociali. Bene: i promotori della legge, pur tra le esitazioni di tanti che diffidano dall'eccesso di regolamentazione delle vite quotidiane, si impegnarono molto, convinti di far fare un passo avanti all'Italia civile. In questo impegno si distinsero insieme credenti e no. La Chiesa decise di opporsi a priori al proposito: sarebbe stata un sacrilegio, avrebbe espropriato lei -o la medicina, o lo Stato, qualche altra autorità costituita, invariabilmente patriarcale- del controllo sui corpi, dunque sulle anime, avrebbe spalancato la strada all'eutanasia, all'eugenetica e ad altre nequizie accumulate alla rinfusa. L'opinione delle persone andava nella direzione opposta, e una serie di vicende umane commoventi ed esemplari la rese tesa e forte: così fra le altre la scelta di Piergiorgio Welby prima, poi della famiglia Englaro. Allora la Chiesa, e con lei lo schieramento politico di centrodestra, temette di essere messa nell'angolo e sconfitta, e con un brusco voltafaccia proclamò di essere d'accordo con la necessità di fare una legge. Voleva dire che, non riuscendo a sventare la spinta verso il riconoscimento legale delle disposizioni sulla fine della vita -il cosiddetto testamento biologico- si sarebbero impegnati a farla così tortuosa e svuotata da renderla innocua. Di fronte a questa piccola furbizia, i benintenzionati promotori della legge avrebbero potuto rinunziarvi, evitando un risultato che non solo non avrebbe corrisposto all'avanzata civile che si proponevano, ma avrebbe suscitato una situazione molto peggiore: purtroppo non lo fecero. La tragica vicenda di Eluana indusse Chiesa e politica a lei allineata a vendicarsene con l'escogitazione di un'assurdità impensabile a qualunque mente appena ragionevole: la definizione della nutrizione artificiale come una pratica ordinaria, piuttosto che come un trattamento medico (so abbastanza di che cosa parlo, avendo avuto a lungo una sonda infilata nella pancia: e comunque alla lunga ciascuno è purtroppo destinato a sapere di che cosa si parla) e la proibizione di disporre, per quando si fosse ridotti a un'irreversibile esistenza vegetativa o a una sofferenza intollerabile, il rifiuto della nutrizione artificiale. Questa vendetta è stata votata al Senato -dovrà poi passare alla Camera- l'altroieri. La natura della decisione è resa più amaramente e grottescamente rivelatrice dal fatto che gli stessi votanti hanno espropriato se stessi e i propri cari della responsabilità per la propria vita. Dice infatti la saggezza antica che Dio fa uscire di senno quelli di cui vuole la rovina. La rovina qui è però universale. L'esito -provvisorio, ma spettacoloso- è venuto ieri. Un emendamento Udc ha stabilito che, anche una volta adempiuti tutti gli obblighi acrobatici cui la legge sottopone la volontà delle persone (dalle modalità irrealizzabili di dichiarazione alla frequenza della ripetizione ecc.), i medici non siano tenuti ad applicarla, e vengano successivamente consultati comitati di neurofisiolofi, radiologi, psicologi, filosofi, e alla fine magistrati -tutto ciò mentre qualcuno agonizza in una terapia intensiva. Cioé, in soldoni: la legge non c'è più. Resta solo quella magnifica conquista: che d'ora in poi le singole persone non sono più libere di decidere se nutrirsi o no. Sonda obbligatoria per tutti. Sacra, la vita? Solenne, il dibattito? Compunte, le facce dei dibattenti? Ma no: era uno scherzo, era tutto uno scherzo.
In principio era il silenzioso operato di medici infermieri e famigliari, nei reparti di rianimazione e nelle case. Guidato dalla pietà, dal dolore, qualche volta dalla distrazione, qualche volta dal cinismo. Si faceva e non si diceva. Poi qualcuno si propose di definire legalmente ciò che era giusto fare, e riconoscere alle persone, prima che il diritto, la responsabilità e libertà nei confronti della propria vita. Con un vantaggio: una Costituzione che, benché scritta quando ancora non si presumeva di padroneggiare nascita vita e morte, e di modellare, all'occorrenza, sembianze di vita senza data di scadenza, riconosceva già inequivocabilmente quella responsabilità e libertà, dunque quel diritto. In realtà, quel diritto coincide con l'habeas corpus. Si sarebbe detto che il cristianesimo e i suoi interpreti ufficiali, compresi i cattolici, quando si ricordassero di essere cristiani, avrebbero tutelato con più premura quel diritto, per una preziosa diffidenza verso l'invadenza statalista e per una peculiare attenzione al valore della persona e della sua cerchia di relazioni famigliari e sociali. Bene: i promotori della legge, pur tra le esitazioni di tanti che diffidano dall'eccesso di regolamentazione delle vite quotidiane, si impegnarono molto, convinti di far fare un passo avanti all'Italia civile. In questo impegno si distinsero insieme credenti e no. La Chiesa decise di opporsi a priori al proposito: sarebbe stata un sacrilegio, avrebbe espropriato lei -o la medicina, o lo Stato, qualche altra autorità costituita, invariabilmente patriarcale- del controllo sui corpi, dunque sulle anime, avrebbe spalancato la strada all'eutanasia, all'eugenetica e ad altre nequizie accumulate alla rinfusa. L'opinione delle persone andava nella direzione opposta, e una serie di vicende umane commoventi ed esemplari la rese tesa e forte: così fra le altre la scelta di Piergiorgio Welby prima, poi della famiglia Englaro. Allora la Chiesa, e con lei lo schieramento politico di centrodestra, temette di essere messa nell'angolo e sconfitta, e con un brusco voltafaccia proclamò di essere d'accordo con la necessità di fare una legge. Voleva dire che, non riuscendo a sventare la spinta verso il riconoscimento legale delle disposizioni sulla fine della vita -il cosiddetto testamento biologico- si sarebbero impegnati a farla così tortuosa e svuotata da renderla innocua. Di fronte a questa piccola furbizia, i benintenzionati promotori della legge avrebbero potuto rinunziarvi, evitando un risultato che non solo non avrebbe corrisposto all'avanzata civile che si proponevano, ma avrebbe suscitato una situazione molto peggiore: purtroppo non lo fecero. La tragica vicenda di Eluana indusse Chiesa e politica a lei allineata a vendicarsene con l'escogitazione di un'assurdità impensabile a qualunque mente appena ragionevole: la definizione della nutrizione artificiale come una pratica ordinaria, piuttosto che come un trattamento medico (so abbastanza di che cosa parlo, avendo avuto a lungo una sonda infilata nella pancia: e comunque alla lunga ciascuno è purtroppo destinato a sapere di che cosa si parla) e la proibizione di disporre, per quando si fosse ridotti a un'irreversibile esistenza vegetativa o a una sofferenza intollerabile, il rifiuto della nutrizione artificiale. Questa vendetta è stata votata al Senato -dovrà poi passare alla Camera- l'altroieri. La natura della decisione è resa più amaramente e grottescamente rivelatrice dal fatto che gli stessi votanti hanno espropriato se stessi e i propri cari della responsabilità per la propria vita. Dice infatti la saggezza antica che Dio fa uscire di senno quelli di cui vuole la rovina. La rovina qui è però universale. L'esito -provvisorio, ma spettacoloso- è venuto ieri. Un emendamento Udc ha stabilito che, anche una volta adempiuti tutti gli obblighi acrobatici cui la legge sottopone la volontà delle persone (dalle modalità irrealizzabili di dichiarazione alla frequenza della ripetizione ecc.), i medici non siano tenuti ad applicarla, e vengano successivamente consultati comitati di neurofisiolofi, radiologi, psicologi, filosofi, e alla fine magistrati -tutto ciò mentre qualcuno agonizza in una terapia intensiva. Cioé, in soldoni: la legge non c'è più. Resta solo quella magnifica conquista: che d'ora in poi le singole persone non sono più libere di decidere se nutrirsi o no. Sonda obbligatoria per tutti. Sacra, la vita? Solenne, il dibattito? Compunte, le facce dei dibattenti? Ma no: era uno scherzo, era tutto uno scherzo.
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