venerdì, novembre 23, 2007
sabato, novembre 17, 2007
Moratoria sulla pena di morte
da L'Unità del 16 novembre 2007
di Furio Colombo
Intorno al concetto che questa parola esprime, si è formata, nell’opinione di molti italiani e di molti giornali, una sorta di benevola e paziente compiacenza. La parola è moratoria, i proponenti di questa parola sono i Radicali, nel senso del partito di Pannella-Bonino. Il senso della parola e della proposta è sospendere l’esecuzione della pena di morte in ogni Paese del mondo, dunque anche nei Paesi che prevedono la pena di morte per legge, ma senza cambiare la legge.
Si proclama solo la sospensione, e questa proclamazione viene dalle Nazioni Unite con un atto dell’Assemblea generale. In questo modo ciascun governo è vincolato, ma non deve né decidere né abrogare.
Rivediamo la sequenza. Prima viene la caparbia insistenza dei Radicali: fermare le esecuzioni capitali nel mondo. Dobbiamo accettare di riconoscere che un impegno così drammatico, una bandiera così estrema non hanno mai provocato vibrazioni emozionate e risposte adeguatamente impegnate, considerato il rischio e la difficoltà quasi utopistici dell’impresa. C’è stata piuttosto tolleranza, nel senso amichevole e comprensivo della parola, ma più con l’inclinazione a vedere la moratoria come l’ultima trovata dei Radicali, che come uno straordinario e comune impegno internazionale.
Non che non si sia lavorato bene per far arrivare la proposta “moratoria” a destinazione. Ma più per lealtà verso amici del governo e per dovere verso un impegno preso, verso una missione che dà senso e volto al Paese.
Ora, se è bene ciò che finisce bene, e se è giunto il momento di effusive e soddisfatte congratulazioni reciproche, magari con il rischio di dimenticare come e dove tutto comincia (la fastidiosa, ininterrotta insistenza dei Radicali) e con la naturale tendenza a fotografare l’inquadratura finale (successo dell’Italia e della sua arrischiata proposta) con i protagonisti del momento in primo piano, allora è anche il momento di una riflessione, come dire, educativa, su questa vicenda.
Non si tratta, infatti, di un azzardo andato a buon fine, di una scommessa audace vinta per buona fortuna, per caso o anche per occasionale bravura. Si tratta di un modo di affrontare alcuni grandi e gravi problemi senza rinunciare, per quanto grandi siano le difficoltà. Ma anche con estremo realismo.
Se infatti questa vicenda è esemplare, lo è per l’incrocio di tenacia quasi ossessiva - se vogliamo un eccesso di slancio ideale - e di realismo astuto e altrettanto tenace.
Per capire, può essere utile ricordare la questione "Guerra in Iraq" e l’unico vero tentativo di evitarla. Vediamo perché.
Ci si stava avvicinando a un conflitto, che sarebbe stato disastroso. Infuriavano due polemiche: una, enorme, sulla pace e la guerra, dunque il pacifismo contro la proposta chirurgica dell’intervento militare. L’altra, più politica, sulle ragioni di quella guerra: se esistevano o no le armi di distruzione di massa che avrebbero giustificato la guerra come azione di emergenza di una polizia mondiale.
È maturata in quei giorni, proposta da Marco Pannella ai parlamentari italiani, ai governi del mondo e alle Nazioni Unite, un progetto giudicato subito da molti velleitario e impossibile: rimuovere il dittatore Saddam Hussein senza investire di guerra e di distruzione l’interno paese Iraq. Solo dopo abbiamo saputo, in modo certo e senza equivoci, con prove e testimonianze non confutate, che l’assurdo progetto era sul punto di compiersi.
Una parte della diplomazia araba è stata fermata dal precipitare dell’azione militare un momento prima di realizzare l’evento che avrebbe evitato uno dei più disastrosi conflitti della storia contemporanea: la rimozione definitiva e senza sangue del dittatore iracheno, senza passaporti di innocenza e senza rischi personali per la sua vita. Diplomazia, nel suo senso più alto, invece di guerra. Non attraverso invocazioni e gesti esemplari, però privi di conseguenze, come le famose "campane di Basilea" narrate da Louis Aragon, che suonavano e celebravano la pace mentre in tutta Europa scoppiava la prima Guerra Mondiale. Piuttosto studiando, e trovando, con tenacia, intelligenza e astuzia, un altro percorso. Un progetto che stava per riuscire.
Per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, Pannella e Bonino e tutto il gruppo Radicale italiano e transazionale, hanno seguito la stessa strada. Prima viene la proposta non rinunciabile, no alla pena di morte. Poi viene il modo di confrontarsi con le potenze (la potenza di molti stati tra cui la Cina, gli Stati Uniti) che praticano la pena di morte. Quando si è portatori di testimonianza, di convinzione, ma non di forza, il passaggio è identificato nell’ambito naturale delle Nazioni Unite, per carattere e missione non conflittuale.
Il metodo è nel proporre non il cambiamento della legge degli altri ma la richiesta (si potrebbe dire: la preghiera) di sospendere l’applicazione della legge. Ovvero la sospensione delle esecuzioni, la salvaguardia - sia pure temporanea - della vita umana. Questa volta la ostinata proposizione e riproposizione del progetto contro la pena di morte di Pannella si è saldata con l’impegno del governo italiano (in particolare Prodi e D’Alema, ciò che per l’Iraq non era accaduto ai tempi di Berlusconi e Fini) e poi con l’Unione Europea, e poi di un numero sempre più grande di Paesi membri e titolari di voto della Nazioni Unite, sta raggiungendo il suo risultato finale e in questo senso esemplare: non la nobile intenzione destinata a restare nell’aria, ma il progetto concreto, costruito ostinatamente pezzo per pezzo, passaggio per passaggio, che entra ora nella sua fase finale e diventa riferimento civile del mondo. Quando si renderà, come è giusto onore all’Italia, per avere fatto strada all’opinione del mondo contro la pena di morte, sarà indispensabile ricordare come tutto questo è nato, come si è svolto e come è arrivato a prevale su difficoltà immense. Si dica e si ricordi che ha avuto inizio, al di fuori delle grandi potenze lungo il percorso della persuasione che si espande e che contribuisce ad alzare il livello di civiltà di tutti. E’ ciò che è accaduto.
di Furio Colombo
Intorno al concetto che questa parola esprime, si è formata, nell’opinione di molti italiani e di molti giornali, una sorta di benevola e paziente compiacenza. La parola è moratoria, i proponenti di questa parola sono i Radicali, nel senso del partito di Pannella-Bonino. Il senso della parola e della proposta è sospendere l’esecuzione della pena di morte in ogni Paese del mondo, dunque anche nei Paesi che prevedono la pena di morte per legge, ma senza cambiare la legge.
Si proclama solo la sospensione, e questa proclamazione viene dalle Nazioni Unite con un atto dell’Assemblea generale. In questo modo ciascun governo è vincolato, ma non deve né decidere né abrogare.
Rivediamo la sequenza. Prima viene la caparbia insistenza dei Radicali: fermare le esecuzioni capitali nel mondo. Dobbiamo accettare di riconoscere che un impegno così drammatico, una bandiera così estrema non hanno mai provocato vibrazioni emozionate e risposte adeguatamente impegnate, considerato il rischio e la difficoltà quasi utopistici dell’impresa. C’è stata piuttosto tolleranza, nel senso amichevole e comprensivo della parola, ma più con l’inclinazione a vedere la moratoria come l’ultima trovata dei Radicali, che come uno straordinario e comune impegno internazionale.
Non che non si sia lavorato bene per far arrivare la proposta “moratoria” a destinazione. Ma più per lealtà verso amici del governo e per dovere verso un impegno preso, verso una missione che dà senso e volto al Paese.
Ora, se è bene ciò che finisce bene, e se è giunto il momento di effusive e soddisfatte congratulazioni reciproche, magari con il rischio di dimenticare come e dove tutto comincia (la fastidiosa, ininterrotta insistenza dei Radicali) e con la naturale tendenza a fotografare l’inquadratura finale (successo dell’Italia e della sua arrischiata proposta) con i protagonisti del momento in primo piano, allora è anche il momento di una riflessione, come dire, educativa, su questa vicenda.
Non si tratta, infatti, di un azzardo andato a buon fine, di una scommessa audace vinta per buona fortuna, per caso o anche per occasionale bravura. Si tratta di un modo di affrontare alcuni grandi e gravi problemi senza rinunciare, per quanto grandi siano le difficoltà. Ma anche con estremo realismo.
Se infatti questa vicenda è esemplare, lo è per l’incrocio di tenacia quasi ossessiva - se vogliamo un eccesso di slancio ideale - e di realismo astuto e altrettanto tenace.
Per capire, può essere utile ricordare la questione "Guerra in Iraq" e l’unico vero tentativo di evitarla. Vediamo perché.
Ci si stava avvicinando a un conflitto, che sarebbe stato disastroso. Infuriavano due polemiche: una, enorme, sulla pace e la guerra, dunque il pacifismo contro la proposta chirurgica dell’intervento militare. L’altra, più politica, sulle ragioni di quella guerra: se esistevano o no le armi di distruzione di massa che avrebbero giustificato la guerra come azione di emergenza di una polizia mondiale.
È maturata in quei giorni, proposta da Marco Pannella ai parlamentari italiani, ai governi del mondo e alle Nazioni Unite, un progetto giudicato subito da molti velleitario e impossibile: rimuovere il dittatore Saddam Hussein senza investire di guerra e di distruzione l’interno paese Iraq. Solo dopo abbiamo saputo, in modo certo e senza equivoci, con prove e testimonianze non confutate, che l’assurdo progetto era sul punto di compiersi.
Una parte della diplomazia araba è stata fermata dal precipitare dell’azione militare un momento prima di realizzare l’evento che avrebbe evitato uno dei più disastrosi conflitti della storia contemporanea: la rimozione definitiva e senza sangue del dittatore iracheno, senza passaporti di innocenza e senza rischi personali per la sua vita. Diplomazia, nel suo senso più alto, invece di guerra. Non attraverso invocazioni e gesti esemplari, però privi di conseguenze, come le famose "campane di Basilea" narrate da Louis Aragon, che suonavano e celebravano la pace mentre in tutta Europa scoppiava la prima Guerra Mondiale. Piuttosto studiando, e trovando, con tenacia, intelligenza e astuzia, un altro percorso. Un progetto che stava per riuscire.
Per la moratoria sulla pena di morte nel mondo, Pannella e Bonino e tutto il gruppo Radicale italiano e transazionale, hanno seguito la stessa strada. Prima viene la proposta non rinunciabile, no alla pena di morte. Poi viene il modo di confrontarsi con le potenze (la potenza di molti stati tra cui la Cina, gli Stati Uniti) che praticano la pena di morte. Quando si è portatori di testimonianza, di convinzione, ma non di forza, il passaggio è identificato nell’ambito naturale delle Nazioni Unite, per carattere e missione non conflittuale.
Il metodo è nel proporre non il cambiamento della legge degli altri ma la richiesta (si potrebbe dire: la preghiera) di sospendere l’applicazione della legge. Ovvero la sospensione delle esecuzioni, la salvaguardia - sia pure temporanea - della vita umana. Questa volta la ostinata proposizione e riproposizione del progetto contro la pena di morte di Pannella si è saldata con l’impegno del governo italiano (in particolare Prodi e D’Alema, ciò che per l’Iraq non era accaduto ai tempi di Berlusconi e Fini) e poi con l’Unione Europea, e poi di un numero sempre più grande di Paesi membri e titolari di voto della Nazioni Unite, sta raggiungendo il suo risultato finale e in questo senso esemplare: non la nobile intenzione destinata a restare nell’aria, ma il progetto concreto, costruito ostinatamente pezzo per pezzo, passaggio per passaggio, che entra ora nella sua fase finale e diventa riferimento civile del mondo. Quando si renderà, come è giusto onore all’Italia, per avere fatto strada all’opinione del mondo contro la pena di morte, sarà indispensabile ricordare come tutto questo è nato, come si è svolto e come è arrivato a prevale su difficoltà immense. Si dica e si ricordi che ha avuto inizio, al di fuori delle grandi potenze lungo il percorso della persuasione che si espande e che contribuisce ad alzare il livello di civiltà di tutti. E’ ciò che è accaduto.
venerdì, novembre 16, 2007
Pier Paolo Pasolini: il suo pensiero, i suoi scritti, l'intervento che avrebbe dovuto pronunciare al congresso del P. R.del 1975
clicca sul titolo
(da radio radicale)
“UN SOLO RUDERE”
di Pier Paolo Pasolini
“Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore.
Vengo dai ruderi, dalle Chiese,
dalle pale d’altare, dai borghi
dimenticati sugli Appennini o le Prealpi,
dove sono vissuti i fratelli.
Giro per la Tuscolana come un pazzo,
per l’Appia come un cane senza padrone.
O guardo i crepuscoli, le mattine
su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo,
come i primi atti della Dopostoria,
cui io sussisto, per privilegio d’anagrafe,
dall’orlo estremo di qualche età
sepolta. Mostruoso è chi è nato
dalle viscere di una donna morta.
E io, feto adulto, mi aggiro
più moderno d’ogni moderno
a cercare i fratelli che non sono più”.