martedì, novembre 28, 2006

Recensione libro di Piero (clicca)

lunedì, novembre 27, 2006

Mina: staccherei la spina, ma ho paura che soffra

Piergiorgio Welby tenterà ancora qualche altra strada prima di quella finale, la disobbedienza civile. Con la legge non ha più speranze, troppo lunghi i tempi del Parlamento per la sua malattia devastante. «Ma non ci diamo ancora per vinti», dice il radicale Marco Cappato. E spiega: «Stiamo esplorando margini giurisdizionali interpretativi per un’altra strada. Stiamo pensando di rivolgerci a un giudice che ci autorizzi a staccare la spina. Oppure alla scelta di un medico che si prenda lui la responsabilità. In questa vicenda ci troviamo di fronte a leggi in contrasto con principi costituzionali e il tutto èmolto violento». Forse, come ha detto ieri al Corriere della Sera Ignazio Marino, alla fine l’Italia una legge sull’eutanasia la farà. Ma il presidente della commissione Sanità del Senato è stato chiaro: «Non si potrà fare subito». E dunque non servirà a far vincere la battaglia di Welby che ha 60 anni e da oltre 40 combatte una malattia che ancora oggi non conosce cura: la distrofia muscolare progressiva. Aveva scritto anche a Marino Piergiorgio Welby per chiedere l’eutanasia. A lui e al presidente della commissione omologa della Camera. Ai presidenti dei due rami del Parlamento. Al presidente della Repubblica aveva già implorato in settembre la «grazia » di un’eutanasia. Senza successo. Ma lui combatterà ancora. «La sua è una battaglia civile, va oltre la sua vicenda personale», dice Mina, che è il suo angelo custode oltre che sua moglie e l’unica che ancora riesce a tradurre in parole i sussurri di Piergiorgio. «La disobbedienza civile è sempre presente», le ha fatto capire ieri suo marito nel pomeriggio che ha passato in contatto con i radicali, lui che è copresidente dell’Associazione Luca Coscioni. Intanto Piergiorgio continua a spegnersi nel suo letto di dolore. «Fa sempre più fatica a deglutire persino le pappette», dice Mina, amorevole e impassibile con il suo stile tedesco. E aggiunge: «La verità è che Piergiorgio non accetterà mai un sondino per mangiare. E dunque quando non ce la farà più a deglutire, le sue ore saranno davvero contate ». Nel frattempo è lei, Mina, che conta le ore e anche le notti. «Non dovrei dirlo, ma tante volte quando mi corico prima di addormentarmi imploro: "Signore, portamelo via stanotte ». Ma la mattina ancora ritorna per Piergiorgio Welby. E Mina ricomincia con lui le giornate: «Se potessi la staccherei io la spina di quella macchina. Se soltanto sapessi farlo senza farlo soffrire troppo».
Alessandra Arachi 26 novembre 2006

giovedì, novembre 23, 2006

Welby chiama e nessuno gli risponde

Piergiorgio Welby chiama, e nessuno risponde. Nessuno risponde in maniera soddisfacente: si va dall’affermazione che la sua è una richiesta ‘comprensibile’ umanamente alla richiesta di aspettare. Welby non può aspettare e il fatto che la sua richiesta sia umanamente comprensibile non risolve la sua situazione. In sintesi, quanto Welby ha ottenuto è silenzio – non inteso letteralmente. Ma pur sempre silenzio. Di questo silenzio dovrebbero provare vergogna quelli che, con le bocche cucite e le mani in grembo, si nascondono dietro all’ipocrisia del rispetto assoluto della vita. Quelli che non hanno avuto nemmeno il coraggio di dire onestamente: “Welby, non c’è niente da fare e niente faremo”. E forse, paradossalmente, finiscono per provare vergogna quelli che non hanno la possibilità di cambiare le cose. Quelli che stanno dalla parte di Welby, e che nonostante la sua richiesta terribile vorrebbero aiutarlo a soddisfare la sua volontà come gesto estremo di rispetto e di dedizione. Quelli che in tutti questi anni si sono presi cura di lui, prima di tutti la sua donna, Mina. Finiscono per vergognarsi quelli che non c’entrano con questo silenzio, come qualche volta succede assistendo a un comportamento imbarazzante di un personaggio in un film. Ci si vergogna al suo posto, forse per un meccanismo di identificazione o per una naturale tendenza a chiedersi cosa si proverebbe nei suoi panni: disagio. Perché bisognerebbe davvero vergognarsi di avere costretto Welby a ripiegare sulla disobbedienza civile per riappropriarsi di un diritto fondamentale
Chiara Lalli bioeticista
da "Il Bergamo" di oggi

mercoledì, novembre 22, 2006

Iniziativa nonviolenta

Dichiarazione di Marco Cappato, Segretario dell’Associazione Luca Coscioni, Deputato europeo
Da mercoledì avvieremo un'iniziativa nonviolenta di sciopero della fame aperta ai cittadini che lo vorranno e rivolta al Presidente della Consiglio, ai rappresentanti istituzionali ed anche agli esponenti della comunità scientifica e del mondo medico, affinché si dia risposta alle due richieste avanzate dal co-Presidente dell'Associazione Coscioni, Piergiorgio Welby:
1 - che il Presidente del Consiglio proceda finalmente alla nomina del nuovo Comitato Nazionale di Bioetica, come previsto dalla normativa italiana e da impegni internazionali assunti dal nostro Paese. Il precedente Comitato è scaduto infatti oltre 5 mesi fa, il 15 giugno 2006;
2- che arrivino risposte concrete alla domanda drammaticamente urgente posta dallo stesso Welby il 22 ottobre, quando scrisse: "È mia ferma decisione rinunciare alla ventilazione polmonare assistita. Staccare la spina mi porterebbe ad una agonia lunga e dolorosa. Anche una sedazione protratta nel tempo non mi garantirebbe una morte immediata senza dolore. Chiedo: è possibile che mi sia somministrata una sedazione terminale che mi permetta di poter staccare la spina senza dover soffrire?". Non avendo finora trovato nessuno disposto a dare risposta pratica, lo stesso Welby ha comunicato l'inevitabilità di una azione di disobbedienza civile, non senza aver chiesto ad alcune tra le massime cariche costituzionali di indicargli un’alternativa che non sia quella della clandestinità.
In entrambi i casi, ciò che si chiede è il rispetto della legalità - sia sul piano delle leggi dello Stato e dei principi costituzionali che su quello della deontologia professionale del medico - per l'affermazione del diritto ad una vita dignitosa, tanto per le persone quanto per le istituzioni malate del nostro Paese.”
Oggi Piero ha dichiarato: "Sono pronto"

domenica, novembre 19, 2006

Succede in Italia? No!

Eutanasia: GB, processo a medici che insistono con cure
Tempi duri in Gran Bretagna per i medici anti-eutanasia: è in arrivo una serie di norme e direttive che ne prevede l'incriminazione se non staccano la spina e insistono nella somministrazione di terapie quando invece il paziente ha espresso chiaramente in passato il suo desiderio di non essere curato ad oltranza. Lord Falconer, il ministro della Giustizia, ha già avvertito che il medico non disposto ad obbedire al nuovo regolamento (articolato nel 'Mental Capacity Act') rischierà la prigione o grosse multe. La pena massima sarà di cinque anni di carcere, in quanto il reato è stato equiparato all'aggressione. In base al 'Mental Capacity Act', che dovrebbe entrare in vigore nel corso della primavera 2007 e ha l'appoggio del ministro della Sanità Patricia Hewitt, familiari e amici di una persona colpita da un male incurabile e non più in grado di intendere e volere a pieno titolo potranno far causa ai medici in caso di accanimento terapeutico. Il 'Mental Capacity Act' dovrebbe dare piena cittadinanza giuridica ai 'living wills' e cioé ai testamenti di persone che in passato hanno espresso in modo esplicito il desiderio di non essere curate se colpite da una grave e irrimediabile invalidità che ne danneggia l'attività cerebrale. Parlando con il tabloid 'Daily Mail', che in termini molto scandalizzati ha dato oggi grande risalto alla notizia, il filosofo tradizionalista David Conway afferma che la nuova legge va contro al giuramento di Ippocrate e "aprirà un terribile barattolo di vermi" http://www.tio.ch/common_includes/pagine_comuni/articolo_interna.asp?idarticolo=297175&idtipo=2

sabato, novembre 18, 2006

BIKO


Peter Gabriel comunicatore globale e "Uomo della Pace 2006"
venerdì, 17 novembre 2006 Roma (Reuters)
Sfruttare al meglio le nuove tecnologie per permettere a tutti gli abitanti del mondo di comunicare può aiutare a ridurre la violenza nel mondo. Questo è il messaggio che il musicista Peter Gabriel, nominato oggi a Roma "Uomo della Pace 2006", ha lanciato durante l'apertura del summit annuale fra i premi Nobel per la pace. "Per la prima volta nella storia, la tecnologia consente di comunicare da persona a persona in tutto il mondo", ha detto il musicista in una conferenza stampa tenuta dopo la consegna del premio. "Questo, unito alla possibilità di dare un'educazione gratuita a tutti può portare ad una diminuzione della violenza nel mondo". Gabriel si è detto lusingato di aver ricevuto il riconoscimento dai premi Nobel per la pace -- fra cui il russo Mikhail Gorbaciov e il polacco Lech Walesa -- riuniti a Roma fino a domenica per discutere di energia atomica e della rinata minaccia delle armi nucleari. Gabriel, vincitore di numerosi premi musicali e considerato un precursore nel campo dei videoclip, è stato premiato per il suo impegno sociale, che lo ha portato ad utilizzare la musica per promuovere la difesa dei diritti umani soprattutto in Africa. Il musicista, che considera la musica una forma di comunicazione universale, vede nella conoscenza reciproca un fattore fondamentale per promuovere la pace nel mondo. "Bisogna conoscere culture diverse, parlare con tutti, anche con i terroristi, e cercare di mettersi sempre nelle scarpe degli altri", ha detto Gabriel, che proprio grazie alla sua passione per la musica, ha cominciato a girare il mondo fin dagli anni 80. Ed è proprio l'interesse per i ritmi esotici e le culture lontane che hanno portato il musicista ad entrare in contatto con le prime esperienze di abusi che l'hanno poi spinto a fare dei temi sociali una seconda missione. "La musica è stata la mia prima guida", ha spiegato il cantante, ricordando che fu il caso di Steve Biko, attivista anti apartheid ucciso in carcere in Sud Africa nel 1977, a convincerlo ad impegnarsi nella promozione dei diritti umani. Dopo aver dedicato a Biko una canzone che divenne un successo internazionale, Gabriel ha promosso vari concerti e iniziative su temi sociali, fra cui "Witness", ultimo progetto che consiste nel distribuire ad attivisti dei diritti umani di tutto il mondo videocamere, microfoni e computer per permettere loro di documentare gli abusi che avvengono nei loro paesi. "E' più difficile negare certe cose se sono state registrate con foto video o testimonianze", ha concluso Gabriel.

venerdì, novembre 17, 2006

ll libro di Piero (ascolta)

Per Rizzoli oggi in libreria «Lasciatemi morire»: una «autobiografia» cruda sulla «condanna» a essere malati
«Un Paese in cui il governo fa miracoli e la Cei le leggi»
di Piergiorgio Welby
Oggi respiro con l’ausilio di un ventilatore polmonare Eole 3xO, mi nutro di un alimento artificiale (Pulmocare) e altri alimenti semiliquidi, parlo con l’ausilio di un computer e di un software. Per anni ho sperato che la ricerca scientifica trovasse un rimedio. Ora che le prospettive di una cura potrebbero, grazie agli studi sulle cellule staminali, sia adulte che embrionali, trasformarsi da speranza in realtà, sempre più ostacoli si frappongono sul cammino di una ricerca libera. La distrofia muscolare progressiva non è una maledizione biblica, è una malattia genetica che può essere sconfitta grazie alla diagnosi prenatale: i villi coriali, l’amniocentesi e soprattutto la diagnosi preimpianto. (...)Se un medico vi dicesse: «Lei ha una malattia incurabile e le resta poco da vivere, però: noi potremmo farle un buco in pancia per poterla alimentare, poi le praticheremo un foro nel collo per permetterle di respirare, le introdurremo un tubicino nell’uretra per consentirle di urinare, un’infermiera le svuoterà giornalmente l’intestino... Naturalmente dovremo sottoporla a forti terapie antibiotiche per contenere le infezioni causate dai tubi... Inevitabilmente dovrà sopportare i decubiti, piaghe dolorose che corrodono la carne fino all’osso... Però, lei potrà vivere anche un anno o più!». Se un medico vi dicesse: «Lei ha una malattia incurabile e le resta poco da vivere, però: noi potremmo ridurre le sue sofferenze al minimo e, su sua richiesta, procurarle una morte indolore, purtroppo la scienza ha i suoi limiti». Da quale medico vorreste essere curati? (...)Quanti sono gli esseri umani che ai nostri giorni, grazieai protocolli di rianimazione, ai biomacchinari che simulano le funzioni vitali e all’alimentazione artificiale, resuscitano per essere consegnati non alla vita ma a una vita apparente o morte imperfetta? Attualmente negli Usa ci sono tra i 10.000 e i 25.000 adulti e tra i 4000 e i 10.000 bambini in Svp (perdita delle sole funzioni cerebrali); alcuni sono stati tenuti in questa condizione anche per 40 anni. In Italia non si conosce il numero certo delle persone che si trovano in Svp perché non sono ospedalizzate. Come altri problemi che riguardano quote numericamente marginali di una popolazione, anche la situazione di queste persone non viene percepita in tutta la sua gravità e urgenza. Per scuotere le coscienze e mobilitare, attraverso i media, l’opinione pubblica occorre che i numeri prendano forma in un corpo, con un volto, un nome, una storia. È stato il caso di Terry Schiavo. (...) Se pensiamo che Terri, tecnicamente, è morta di fame e di sete, ci vengono in mente i cibi che preferiamo, il piacere di assaporarli, le gioie della convivialità. Ma la nutrizione artificiale nulla ha a che vedere con tutto ciò. Il «cibo» non viene assaporato, ma raggiunge direttamente lo stomaco tramite un tubicino inserito nel naso o una stomia nella parete addominale. Una pompa elettrica sospinge, nello stomaco, 80 cc. di soluzione nutrizionale in un’ora. La durata del pasto è di circa 12 ore: non si è mai sazi e non si è mai affamati. (...)Com’è difficile vivere e morire in un Paese dove il Governo fa i miracoli e la Conferenza episcopale «fa» le leggi. Com’è difficile parlare di eutanasia e libertà civili in un Paese dove i soli autorizzati a parlarne con autorevolezza sembrano essere Mastella e Ratzinger.(...) In Italia, patria di Machiavelli, dove i politici maneggiano i «se» e i «ma» con la stessa disinvoltura con la quale John Wayne maneggiava la Colt e il Winchester, quando si parla o si vorrebbe parlare di eutanasia si risponde con un secco no, senza se e senza ma. La sola speranza per chi soffre – ma questa parola è inadatta a descrivere gli stati terminali di alcune patologie degenerative – è il disegno di legge n. 2943 «Norme in materia di Dichiarazioni anticipate di trattamento», d’iniziativa del senatore Antonio Tomassini, ex presidente della Commissione sanità.

Per Rizzoli esce oggi in libreria Lasciatemi morire di Piero Welby. Il libro è in vendita anche su Internet book shop. Di seguito la quarta di copertina:
"Non supererà i vent'anni." È la sentenza del medico che, nel 1963, diagnostica a Piergiorgio Welby la distrofia muscolare progressiva. Ma si sbaglia. Piergiorgio attraversa gli anni Sessanta e Settanta abbandonandosi a ogni sorta di eccesso per dimenticare il proprio destino. Si sposa e aspetta, la fine, che non arriva. Negli anni Ottanta perde l'uso delle gambe. Poi l'ultimo stadio: insufficienza respiratoria. Va in coma. Si risveglia nel reparto rianimazione dell'ospedale Santo Spirito, tracheostomizzato, immobilizzato. Da allora respira con l'ausilio di un ventilatore polmonare, comunica mediante un computer. Soffre. E chiede il diritto di morire. Anche in un appello diretto al presidente della Repubblica, il 22 settembre 2006. È uno scandalo nazionale. Negli ultimi anni, ha fatto sentire la sua voce sul sito dei Radicali italiani, dove ha aperto un forum dedicato all'eutanasia, che oggi conta più di 17.000 interventi. Lucidità, cinismo e poesia sono le scialuppe di salvataggio a cui si affida nella sua quotidianità di "condannato a vita". Sono anche gli ingredienti di questo libro che è diario, testimonianza, denuncia dei luoghi comuni alimentati dall'opportunità politica e dal dogmatismo religioso. E che non rinuncia all'attualità, ricordando le strumentalizzazioni che hanno segnato le vicende recenti: Terri Schiavo in America, Vincent Humbert in Francia, e in Italia il caso ancora aperto di Eluana Englaro.

lunedì, novembre 13, 2006

Abusi su minori in seminario. Tace il Vescovo, parla il suo avvocato

ROMA-ADISTA. Nel numero 73 del 21 ottobre 2006 Adista ha dato notizia del risarcimento chiesto dal vescovo di Agrigento, mons. Carmelo Ferraro, nei confronti di Marco Marchese, ex seminarista vittima di un prete pedofilo (già condannato dopo patteggiamento a 2 anni e 6 mesi di reclusione per abusi ai danni di 7 ragazzi). Nell'articolo – intitolato "Abusi su minori in seminario. Il vescovo sapeva, taceva, e ora vuole essere risarcito dalla vittima" – veniva riportato uno stralcio della lettera aperta scritta da Marchese a mons. Ferraro (e già pubblicata su Adista 54/04) nella quale il ragazzo denunciava con parole toccanti il silenzio del suo vescovo (era il luglio del 2004). La risposta del vescovo a quella lettera, alla condanna del prete ed alla legittima richiesta di risarcimento da parte di Marchese (che ha già dichiarato di voler utilizzare i soldi eventualmente ricevuti per le attività della sua associazione di lotta alla pedofilia) è stata una controcitazione con la richiesta di 200.000 euro per i danni che la denuncia dell'abusato avrebbe arrecato all'"immagine" e al "prestigio" della Chiesa di Agrigento. A seguito della pubblicazione sulla nostra testata di tutta la vicenda qui riassunta, riceviamo la seguente lettera (indirizzata al direttore di Adista) dall'avvocato Anna Mongiovì Gaziano, che assiste il vescovo Ferraro nella richiesta di risarcimento contro Marchese.
L'Avv. Anna Mongiovì Gaziano procuratore in giudizio della Curia Vescovile agrigentina Le scrive per significarLe quanto segue in relazione al procedimento civile Marchese Marco /Curia Vescovile e all'articolo comparso sulla sua rivista del 21/10/2006. La Curia agrigentina è stata chiamata in giudizio da Marchese Marco per sentirsi condannare al pagamento di una SOMMA di DENARO per fatti cui la stessa è estranea in relazione a delle vicende presuntivamente ed asseritamene accadute nel 1994, perché SAPEVA E TACEVA, come recita il titolo della sua nobile testata. Ma così non è stato e così non è come si dimostrerà "per tabulas" in giudizio. La infondatezza e la strumentalità della domanda dell'ATTORE Marco Marchese è "ictu oculi" tendente ad ottenere SOLDI coinvolgendo inopinatamente la Curia, anche al fine di "AMERICANIZZARE" il procedimento civile ed utilizzare i "MEDIA" per rafforzare una domanda priva di fondamento sia in fatto che in diritto. Tecnicamente e giudiziariamente atteso il comportamento diffamatorio dell'ATTORE si imponeva la domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni dovuti a chi sapeva essere estraneo sotto ogni profilo ai fatti oggetto del procedimento penale. Tanto per dovere di verità e giustizia. Grazie per l'ospitalità. P.S. : Lo studio legale Gaziano, in ogni caso, non si farà coinvolgere in polemiche strumentali e resterà fedele al principio che le cause si fanno nelle aule dei Tribunali e non sui giornali come fa l'ATTORE che cerca la confusione diffamatoria piuttosto che la verità. Grazie ancora e cordiali saluti. Agrigento lì 26/10/2006 Avv. Anna Mongiovì Gaziano
Questa la risposta di Adista alla lettera dell'avv. Gaziano: Insomma, a ben guardare non il vescovo si deve pentire di aver taciuto ma piuttosto la vittima dell'abuso. E' la solita storia, quella che hanno sperimentato sulla propria pelle le donne e tante ragazzi e ragazze. Ti hanno violentato? Se taci, ci dispiace e magari preghiamo pure per te; ma se denunci allora vuol dire che te lo sei cercato, vuol dire che un po' sfacciato lo sei e che non ti vergogni di niente, per cui un po' sporco sei e magari la violenza l'hai provocata tu. Ah, gentile avvocato, e donna, Anna Mongiovì Gaziano, quanto di questo linguaggio le dovrebbe risuonare dentro come un'offesa insopportabile. Ma un avvocato è un avvocato, si sa. Quello che non si vorrebbe sapere è invece di un vescovo che pensa di farsi pagare "immagine", "prestigio" e "decoro" (di questo si parla nell'atto di citazione) da una persona segnata a vita principalmente a causa della sua omissione. Esattamente, avvocato, come lei scrive il vescovo è "estraneo" ai fatti oggetto del procedimento penale, e ci mancherebbe pure! Ma il problema è proprio che si è anche comportato da 'estraneo' con un figlio della Chiesa a lui affidato, girando occhi e orecchie da un'altra parte. Sorprende non solo la reiterazione dell'abbandono, ma anche questo effimero aggrapparsi a cose così transeunti e inutili come, appunto, l'"immagine" che ora sembra fagocitare anche un'istituzione così solida e di sostanza come la Chiesa cattolica. Più che all'immagine il vescovo dovrebbe pensare alla sostanza: la sostanza di un uomo che chiedeva aiuto e ha trovato solo una ben pensante circospezione, nella solita prassi del tacere, sopire, troncare. Ma l'inquinamento acustico del sacro silenzio emerge ormai sempre più se si ha il coraggio di sentirlo salire dalle lugubri stanze e penombre di tanti seminari, istituti e curie vescovili, di qua e di là di Alpi e Oceano. Un'ultima cosa, avvocato. Vorremmo chiedere sia a lei che al suo assistito vescovo di non tirare in ballo il "dovere di verità e giustizia". Sono cose grandi, uniche. La giustizia, addirittura, richiede persino di rovesciare i potenti dai troni, figurarsi dunque se si preoccupa dell'immagine dell'ordine esistente. Lasciamole, verità e giustizia, per altre questioni ben più dirimenti di un apparente 'decoro'. Anche noi, nel nostro piccolo, non abbiamo pontificato appropriandoci del loro nome invano. Ci siamo limitati a raccontare i fatti, i fatti della violazione di una vita, riscontrabili negli atti processuali. Con, implicita, una richiesta di giustizia.
La redazione di Adista
18/11/06
Abusi su bambina, arrestato prete pedofilo
NAPOLI
Il parroco di una chiesa del quartiere Pianura a Napoli, del quale non sono state diffuse le generalità, è stato arrestato dai carabinieri per presunti abusi sessuali su una ragazzina di 10 anni. Nei suoi confronti è stata emessa una ordinanza di custodia agli arresti domiciliari su richiesta della procura di Napoli. Secondo quanto emerso dalle indagini, coordinate dalla quarta sezione della procura di Napoli, gli abusi sarebbero avvenuti "con frequenza quotidiana" nella sacrestia dove il sacerdote, secondo l'accusa, palpeggiava la ragazzina. Il parroco era stato già condannato per reati di violenza sessuale avvenuti in Sicilia nel 1995 quando il sacerdote era direttore di un istituto di assistenza. Nell'istituto avrebbe avuto rapporti sessuali con una ricoverata con problemi di salute mentale. L'indagine, sarebbe stata avviata alla fine di settembre quando fu presentata ai carabinieri la denuncia dei genitori che avevano ricevuto dalla bambina confidenze sui presunti abusi. Il parroco, T.T.A., di 60 anni, è stato arrestato dai carabinieri in provincia di Macerata dove si era recato a trovare i familiari. Il sacerdote è stato poi condotto nella sua casa a Napoli ed è ora ai domiciliari.

venerdì, novembre 03, 2006

F.D.A. (guarda)