Caro Napolitano, io insisto sulla grazia a Sofri
di Franco Corleone (Garante dei diritti dei detenuti di Firenze)
Il Manifesto, 10 aprile 2008
Caro Presidente, rispondo alla Sua lettera (il manifesto 15 marzo) e in particolare alla risposta del consigliere Loris D’Ambrosio da Lei definita obiettiva e puntuale. La ringrazio della sollecitudine ma non sarei sincero se non Le manifestassi il mio dissenso nel merito. Per motivare il sostanziale rifiuto della grazia, si cita la sentenza n. 200 del 2006 della Corte costituzionale, secondo la quale la grazia sarebbe un istituto di natura extra ordinem destinato a far fronte a "eccezionali esigenze di natura umanitaria", non tutelabili attraverso gli ordinari strumenti penitenziari. Mi permetto di osservare che questa è una visione riduttiva del potere di grazia e che le ragioni umanitarie di un atto di clemenza non possano essere ristrette alle condizioni di salute del detenuto interessato. D’altronde un potere assoluto per compiere un "atto gratuito e straordinario di generosità" non può essere limitato a una condizione di salute; altre sono le considerazioni che giustificano un atto affidato proprio ai valori della Costituzione e che proprio nell’aderenza agli obiettivi della Carta non assume il carattere di arbitrarietà. Del resto così Ella si è determinato nella concessione della grazia a Ivan Liggi e ai cinque condannati per gli attentati in Alto Adige/Sudtirol negli anni sessanta. Questa concezione mi pare confermata dalla stessa sentenza n. 200 del 2006, che ha fatto definitiva chiarezza sul potere esclusivo del Presidente della Repubblica in tema di concessione di grazia. La Corte costituzionale nella sentenza citata ha ricordato come " l’esercizio del potere di grazia risponda a finalità essenzialmente umanitarie, da apprezzare in rapporto ad una serie di circostanze, inerenti alla persona del condannato o comunque involgenti apprezzamenti di carattere equitativo, idonee a giustificare l’adozione di un atto di clemenza individuale, il quale incide pur sempre sull’esecuzione di una pena validamente e definitivamente inflitta da un organo imparziale, il giudice, con le garanzie formali e sostanziali offerte dall’ordinamento del processo penale. La funzione della grazia è, dunque, in definitiva, quella di attuare i valori costituzionali, consacrati nel terzo comma dell’art. 27 Cost., garantendo soprattutto il "senso di umanità", cui devono ispirarsi tutte le pene, e ciò anche nella prospettiva di assicurare il pieno rispetto del principio desumibile dall’art. 2 Cost., non senza trascurare il profilo di rieducazione proprio della pena". Per altro lo stesso consigliere D’Ambrosio chiarisce che nel caso di malattia gravissima in corso è prevista nell’ordinamento l’incompatibilità con la detenzione in carcere e il differimento dell’esecuzione e nel caso di una condizione di salute seria ma non patologicamente irreversibile, il magistrato di sorveglianza può decidere la prosecuzione della pena in regime di detenzione domiciliare. Si dimostra cioè che esistono strumenti assai sofisticati per risolvere ordinariamente tutti i casi in cui sia compromessa la salute del condannato. Dunque il collegamento della grazia alle problematiche di salute appare improprio. Il caso di Adriano Sofri è peraltro del tutto eccezionale, come bene aveva colto il consigliere Salvatore Sechi quando il 9 gennaio 2002 affermava: "Il Presidente Ciampi conosce bene la complessa vicenda processuale che ha portato alla condanna definitiva di Adriano Sofri e dei suoi coimputati ed è consapevole della mutazione teleologica che la pena subisce quando venga irrogata a lunga distanza di tempo, soprattutto se restrittiva della libertà personale". A mio parere, Signor Presidente, qui sta il nocciolo della questione. Adriano Sofri è stato condannato a 22 anni di carcere con l’accusa di essere il mandante (rectius: per avere confermato il mandato) dell’omicidio del commissario Calabresi avvenuto nel 1972. L’arresto avvenne a fine luglio del 1988 e la vicenda giudiziaria con diversi gradi di giudizio (compresa una sentenza di assoluzione inficiata da una motivazione "suicida"), e rinvii si concluse nel 2000 dopo il processo di revisione a Venezia che confermò la condanna, auspicando nella sentenza una soluzione di non carcerazione ulteriore attraverso la concessione della grazia. Il nodo è il senso di una detenzione che si rivela inutile giacché l’obiettivo previsto dall’art. 27 della Costituzione sullo scopo della pena, la rieducazione e il reinserimento sociale, è ictu oculi evidente, trattandosi di uno degli intellettuali italiani più lucidi e impegnati, che in questi anni dal carcere ha fortemente contribuito a sollecitare l’opinione pubblica sulle grandi questioni della pace e della guerra, dei diritti umani, del destino del pianeta, della pena di morte. Presidente Napolitano, una detenzione, seppure domiciliare, per questi motivi si configura come pura afflizione in violazione della Costituzione. Non mi pare di esagerare nel dire che assistiamo a una sorta di sequestro di persona in funzione del principio retorico della certezza della pena. Tutti coloro che erano impegnati su questo fronte salutarono la concessione della grazia a Ovidio Bompressi come il primo passo per chiudere un capitolo doloroso della storia del nostro paese. Invece nulla è accaduto nonostante la malattia improvvisa che colpì Sofri nel carcere di Pisa e nonostante la tragedia familiare avvenuta lo scorso anno. Mi auguro che la decisione di non concedere la grazia a Sofri non sia definitiva. Mi sono permesso di esprimerle con rispetto alcune valutazioni per me fondamentali, di principio e di diritto, augurandomi che Lei voglia considerarle e tornare a riflettere su una decisione che non può essere condizionata dallo spirito dei tempi o dal timore di reazioni strumentali. Chi salva un uomo, salva l’umanità: soprattutto sarebbe bello ed educativo dare un segnale contrario allo spirito di vendetta e di rancore che sembra animare il nostro presente. Non si tratta di un atto che riguarda solo Adriano Sofri. Mi auguro che questo scambio di opinioni inneschi un confronto più largo, che coinvolga giuristi, studiosi ed esponenti della società civile sul carattere della grazia dopo la pronuncia della Corte costituzionale. A Lei solo, caro Presidente, la parola! Consideri questa condizione un privilegio e non un peso._________________