mercoledì, gennaio 30, 2008
lunedì, gennaio 28, 2008
martedì, gennaio 22, 2008
venerdì, gennaio 18, 2008
Bergamo: incontro-dibattito con Mina Welby
Bergamo, sabato 19 gennaio: Scelte di fine vita, incontro/ dibattito con Mina Welby
Sabato 19 gennaio, alle ore 15.30 in via T. Tasso 4 presso l’ ex Sala consiliare diBergamo, si terrà un incontro-dibattito a cui parteciperanno, tra gli altri, Mina Welby e Chiara Lalli.
SCELTE DI FINE VITA
. L'autodeterminazione della persona. Il ruolo del medico. Le responsabilità della politica
RELATORI
. Mina Welby - moglie di Piero - malato terminale che, per la libertà propria e ditutti, ha saputo farsi dirigente politico - e continuatrice del suo impegno con enell’ Associazione Luca Coscioni;
. Carlo Alberto Defanti - Primario neurologo emerito, A.O. Niguarda Ca' Granda,Milano, tra i fondatori della Consulta di Bioetica e fondatore del Gruppo di studiodi bioetica della Società italiana di neurologia;
. Giuseppe Remuzzi - professore in Nefrologia, Direttore del Dipartimento di Medicina Specialistica e dei Trapianti e della Divisione di Nefrologia e Dialisi degliOspedali Riuniti di Bergamo e Direttore dei Laboratori Negri Bergamo dell'IstitutoMario Negri.
COORDINA L’ INCONTRO
. Chiara Lalli - bioeticista, docente di Logica e Filosofia della Scienza all'Università di Roma La Sapienza, membro del Consiglio Generale dell'Associazione Luca Coscioni.
Una iniziativa della costituenda Cellula bergamasca dell’ Associazione Luca Coscioniin collaborazione con l’ Associazione Radicali Bergamo.
ADERISCONO Centro Culturale Protestante di Bergamo,Circolo Unione Atei (UAAR) di Bergamo, Il caffè Letterario, Comitato Promotore Arcigay di BG
domenica, gennaio 13, 2008
venerdì, gennaio 04, 2008
Un augurio nel ricordo di Luca e Piero
da La Repubblica del 3 gennaio 2008
di Maria Antonietta Coscioni, Mina Welby
Caro Augias, sono passati quasi due anni dalla scomparsa di Luca Coscioni ed è passato da pochi giorni (20 dicembre) l'anniversario della morte di Pier Giorgio Welby. Luca e Piero hanno speso i loro ultimi anni nel tentativo di suscitare, anche tramite l'associazione che porta il nome di Luca ed a fianco dei Radicali Italiani, una riflessione ed un civile dibattito sulle scelte di fine vita. Le decisioni di medici coraggiosi come il dottor Riccio ed alcune sentenze innovative di questi ultimi mesi - in particolare quella della Cassazione che riconosce ad Eluana Englaro il diritto di morire, dopo 15 anni di agonia — sono anche il frutto della loro battaglia, che sentiamo il dovere di portare avanti per superare la situazione di empasse legislativa su questi temi. Infatti, non solo è ormai «vietato» parlare di eutanasia, ma perfino la legge sul testamento biologico - simile a quelle esistenti nella grande maggioranza dei paesi occidentali — è bloccata in Parlamento. Eppure essa avrebbe tre risultati positivi: consentire a chiunque di dichiarare in anticipo quali trattamenti medici accettare e quali rifiutare in caso di malattie gravissime o incurabili; ridurre l'accanimento terapeutico; dare anche ai medici un quadro di certezza del diritto entro cui muoversi. Ci auguriamo che nel 2008 i parlamentari italiani, al di là della loro collocazione partitica e delle loro credenze religiose, vorranno riflettere sul messaggio di Luca e di Piero, colmando finalmente questo drammatico ritardo della nostra legislazione.
Maria Antonietta Coscioni, Mina Welby
Risponde Corrado Augias:
di Maria Antonietta Coscioni, Mina Welby
Caro Augias, sono passati quasi due anni dalla scomparsa di Luca Coscioni ed è passato da pochi giorni (20 dicembre) l'anniversario della morte di Pier Giorgio Welby. Luca e Piero hanno speso i loro ultimi anni nel tentativo di suscitare, anche tramite l'associazione che porta il nome di Luca ed a fianco dei Radicali Italiani, una riflessione ed un civile dibattito sulle scelte di fine vita. Le decisioni di medici coraggiosi come il dottor Riccio ed alcune sentenze innovative di questi ultimi mesi - in particolare quella della Cassazione che riconosce ad Eluana Englaro il diritto di morire, dopo 15 anni di agonia — sono anche il frutto della loro battaglia, che sentiamo il dovere di portare avanti per superare la situazione di empasse legislativa su questi temi. Infatti, non solo è ormai «vietato» parlare di eutanasia, ma perfino la legge sul testamento biologico - simile a quelle esistenti nella grande maggioranza dei paesi occidentali — è bloccata in Parlamento. Eppure essa avrebbe tre risultati positivi: consentire a chiunque di dichiarare in anticipo quali trattamenti medici accettare e quali rifiutare in caso di malattie gravissime o incurabili; ridurre l'accanimento terapeutico; dare anche ai medici un quadro di certezza del diritto entro cui muoversi. Ci auguriamo che nel 2008 i parlamentari italiani, al di là della loro collocazione partitica e delle loro credenze religiose, vorranno riflettere sul messaggio di Luca e di Piero, colmando finalmente questo drammatico ritardo della nostra legislazione.
Maria Antonietta Coscioni, Mina Welby
Risponde Corrado Augias:
Se nell'anno che comincia questo Parlamento riuscisse a far andare avanti il progetto di testamento biologico avremmo fatto tutti, fedeli di una qualunque religione o di nessuna religione, tutti noi esseri umani, un notevole progresso. In questa lettera, che condivido, c'è un richiamo che mi sembra di particolare rilievo ed è là dove dice che l'istituto del testamento biologico darebbe anche ai medici «un quadro di certezza del diritto entro cui muoversi». Sappiamo tutti che nella realtà ospedaliera ci sono medici pietosi che sospendono le cure davanti a casi disperati dove ogni terapia non serve ad altro che a prolungare inutilmente le sofferenze o un'esistenza ridotta a un puro vegetare. Questi generosi si muovono a loro rischio, agiscono spinti da un sentimento di misericordia che molti, me compreso, hanno provato.
Con il loro comportamento sfidano, prima ancora della mancanza di norme certe, l'ipocrisia che causa quella mancanza. Le cose avvengono, lo sappiamo tutti, ma non si deve sapere. Importante è che non venga sancito il principio, proprio come accadde nel caso del povero Welby che avrebbe potuto abbreviare un'esistenza che rifiutava se non avesse voluto trasformare la sua sofferenza in una lotta e in un simbolo. Di tutte le crudeltà commesse in nome di una religione o di un'ideologia questa è tra le peggiori per la sua inutilità, per l'evidente strumentalità della motivazione, per la sua spietatezza.
Con il loro comportamento sfidano, prima ancora della mancanza di norme certe, l'ipocrisia che causa quella mancanza. Le cose avvengono, lo sappiamo tutti, ma non si deve sapere. Importante è che non venga sancito il principio, proprio come accadde nel caso del povero Welby che avrebbe potuto abbreviare un'esistenza che rifiutava se non avesse voluto trasformare la sua sofferenza in una lotta e in un simbolo. Di tutte le crudeltà commesse in nome di una religione o di un'ideologia questa è tra le peggiori per la sua inutilità, per l'evidente strumentalità della motivazione, per la sua spietatezza.
giovedì, gennaio 03, 2008
articolo
La disgrazia di Contrada, cui faccio i miei auguri, ha offerto un’ennesima occasione per tirarmi in ballo. Il mio nome è un piccolo irresistibile tic del paese di Maramaldo.
E’ in particolare un modo impunibile per pronunciare insulti triviali: così Di Pietro, che si ripaga della smagliante disistima in cui lo tengo dichiarando che io sono per il terrorismo quello che Contrada è per la mafia. Così lui e i suoi simili che accostano graziosamente al mio il nome di Totò Riina. Tuttavia c’è ogni volta qualche culmine inatteso perfino da me: Mario Cervi, che sul mio conto ha scritto un po’ di tutto e con me personalmente ha avuto incontri sporadici e piuttosto cordiali, sul Giornale di domenica, per contrapporre al maltrattamento di Contrada il “sostegno politico e mediatico formidabile” di cui godo io, si è concesso l’infamia di scrivere che la mia detenzione, “finché è durata, ha avuto le caratteristiche d’una passerella da star, con interviste e articoli a profusione”.
La mia detenzione dura tuttora. In una cella di due metri per tre è durata nove anni, ed è pronta a essere ripresa. E’ durata finché non ci sono quasi morto. Quest’ultima frase mi serve solo a ribadire ciò di cui non ho mai dubitato: che il tempo che passa – ormai così lungo che Cervi è un vegliardo e io sono un vecchio – non solo non attenua la voglia di odio e malaugurio, ma la istiga ed esacerba. Poiché non c’è niente in quel ch’io faccio che valga a motivarlo (salva la solita storia del cervello da far funzionare), si tratta semplicemente del fatto che sono ancora vivo. Questa proroga è per codesta brava gente imperdonabile. Così stanno le cose, con una riserva: che non rinunceranno certo quando sarò morto. E’ già successo: quando agonizzavo, uno di questi famosi signori scrisse che ero stato smascherato come un crapulone e un ubriacone. Anzi
allora la cosa si perfezionerà definitivamente: nel paese di Maramaldo, appunto.
da Il Foglio 2 gennaio 2008
Adriano Sofri
E’ in particolare un modo impunibile per pronunciare insulti triviali: così Di Pietro, che si ripaga della smagliante disistima in cui lo tengo dichiarando che io sono per il terrorismo quello che Contrada è per la mafia. Così lui e i suoi simili che accostano graziosamente al mio il nome di Totò Riina. Tuttavia c’è ogni volta qualche culmine inatteso perfino da me: Mario Cervi, che sul mio conto ha scritto un po’ di tutto e con me personalmente ha avuto incontri sporadici e piuttosto cordiali, sul Giornale di domenica, per contrapporre al maltrattamento di Contrada il “sostegno politico e mediatico formidabile” di cui godo io, si è concesso l’infamia di scrivere che la mia detenzione, “finché è durata, ha avuto le caratteristiche d’una passerella da star, con interviste e articoli a profusione”.
La mia detenzione dura tuttora. In una cella di due metri per tre è durata nove anni, ed è pronta a essere ripresa. E’ durata finché non ci sono quasi morto. Quest’ultima frase mi serve solo a ribadire ciò di cui non ho mai dubitato: che il tempo che passa – ormai così lungo che Cervi è un vegliardo e io sono un vecchio – non solo non attenua la voglia di odio e malaugurio, ma la istiga ed esacerba. Poiché non c’è niente in quel ch’io faccio che valga a motivarlo (salva la solita storia del cervello da far funzionare), si tratta semplicemente del fatto che sono ancora vivo. Questa proroga è per codesta brava gente imperdonabile. Così stanno le cose, con una riserva: che non rinunceranno certo quando sarò morto. E’ già successo: quando agonizzavo, uno di questi famosi signori scrisse che ero stato smascherato come un crapulone e un ubriacone. Anzi
allora la cosa si perfezionerà definitivamente: nel paese di Maramaldo, appunto.
da Il Foglio 2 gennaio 2008
Adriano Sofri