giovedì, dicembre 28, 2006
mercoledì, dicembre 27, 2006
Sofri oggi su Repubblica
Adriano Sofri.
Ci sono giorni in cui si vorrebbe parlare con quella lingua: «Guai a voi... ».W. aveva curato di avvertire nella lettera al Presidente della Repubblica: «lo amo la vita». Così storpiato dal dolore e dall’artificio, non si vergognava di dirlo con parole da adolescente: «Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli.., l’amico che ti delude».Vita è «il canto del rigogolo, quello del cuculo e la risata del picchio verde maggiore». Non andava preso in parola? Ho sentito in tv una persona peraltro stimabile sospirare: «Noi non abbiamo saputo fargli amare abbastanza la vita». Noi? Lei, io, la società umana, il governo, il suo prossimo? E sua moglie, sua madre, sua sorella, i suoi amici che non l’hanno deluso tutti falliti nel compito di fargli amare la vita? E dunque W. s’ingannava, mentiva, quando proclamava di amarla? Eppure era così chiaro il suo pensiero. W . amava perdutamente la vita, anche quella della signora in tv e la vostra e la mia: solo non riusciva più ad amare la sua. La denunciava per inadempienza, se ne voleva dimettere come da una contraffazione, in nome della vita che ricordava. In un pensiero come quello - «noi non abbiamo saputo fargliela amare» - c’è un’offesa invadente a lui stesso e ai suoi cari, e c’è la presunzione che la parola magica, «vita», possa trionfare sempre della sofferenza, dell’umiliazione, del tormento, e insomma della morte. La devozione a una tecnica che non ce la fa a preservare la vita, e però riesce a dilazionare a oltranza la morte, proprio da parte di chi invoca lealtà al corso naturale delle cose. Chi si è arrogato il diritto di prescrivere a W. che cosa gli fosse permesso e che cosa negato, ha aggiunto alla prepotenza la superbia di credere di amare la vita più di W., e di potergliene insegnare il segreto. Allontana da me questo calice - era nell’agonia del cuore l’implorazione di uno che diceva di essere lui stesso la vita, e poi accettò che fosse fatta non la sua, ma la volontà del Padre. Da W. avrebbero preteso che non la sua si compisse, ma la volontà di uno Stato, di un Vicariato, di un Comitato. (Allontana da me, Padre, la parola «etica»). Poco fa un Papa aveva chiesto se l’avrebbero guarito, gli hanno detto di no, e ha voluto che lo lasciassero andare alla casa del Padre. W. ha chiesto solo che lo lasciassero andare. Forse quel vecchio Papa non amava abbastanza la vita? Non eravamo riusciti a fargliela amare, noi? Si dice che W. non fosse credente. Ammetterete che non debba esser stato neanche un gran peccatore. Stava li, a pagar care le sue notti e i suoi giorni. Si batteva da anni per una morte «opportuna»: l’aggettivo che aveva preso in prestito da un credente per augurarsi una buona morte. E’ Natale, siamo più cattivi, ecco tutto. Nel Purgatorio c’è un Buonconte, peccatore, ferito a morte in battaglia a Campaldino, che finisce nel nome di Maria: un angelo di Dio lo prende, e l’angelo d’inferno impreca rabbioso per l’anima che gli è sottratta, «per una lagrimetta».Non so se W. avesse la facoltà del pianto: di parlare no, non avrebbe potuto pronunciare una paroletta. Solo pensarla, forse, o esserne tentato. il Vicariato romano l’ha escluso. Ha dannato come peccato mortale il desiderio di liberazione di W., e ha tagliato corto col suo ultimo pensiero. Da giorni - c’è stato lo sciopero dei giornali, c’è una Provvidenza - mi chiedo se la Chiesa cattolica abbia misurato Io scandalo che ha mosso nel cuore delle persone. «in merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il Vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie»... Lo spirito soffia dove vuole: soffiava assai lontano quando è stato compilato un tal comunicato. E com’è sembrata allontanarsi la finestra su una piazza San Pietro messa in competizione con una piazza di quartiere.Egli eminenti personaggi politici? La sequela obbligata dei tele- giornali a raccoglierne facce e frasette, respingente sempre, sulla Finanziaria o sul ponte di Messina, era raccapricciante sulla vita e la morte di W. Non dico nemmeno di quelli che hanno chiamato omicidio la morte di W., assassinio l’assistenza di un medico, boia i suoi famigliari e i suoi compagni. W. non ha fatto del male a nessuno. Non ha incitato nessuno a «staccare la spina» di chi, padrone di sè, non lo voglia, nè di chi, privato di coscienza, sia curato da un affetto che preferisce tenerlo in vita. Ha chiesto quello che il diritto e la compassione dovevano a gara assicurargli. Gli stava a cuore il nome di eutanasia: ma a quella arrivava dal fatto, mentre la superstizione mascherata da etica vuole assoggettare il fatto al nome, e lo pronuncia come un feticcio.«Ma è eutanasia!» Per alcuni mesi l’Italia ha ascoltato una discussione accanita attorno a una persona che chiedeva, com’è diritto di ciascuno, e per giunta col doloroso assenso dei suoi cari, che gli fosse smessa una terapia divenuta soverchiante, e che gli fosse risparmiata l’atrocità di un trapasso vigile. Invano medici retti avvertivano che avviene ogni giorno negli ospedali e nelle case. Un ex-presidente di Comitato bioetico ha in- trattenuto cento volte il pubblico sulla differenza capitale fra la sedazione immediatamente precedente il distacco del ventilatore e la sedazione immediatamente successiva al distacco del ventilatore: immorale e illecita, benché compassionevole, la prima, autorizzata ed etica, benché sadica, la seconda. E ha scritto sull’Avvenire, lamentando l’incomprensibilità della volontà di W. («polisensa», l’ha chiamata): «Possiamo e dobbiamo esigere da parte di tutti, e in primo luogo da noi stessi, un estremo rigore concettuale e lessicale»! Fiordi medici, e di magistrati, hanno sostenuto che, essendo 11 rifiuto di una terapia, da iniziare o già iniziata, un diritto costituzionale della persona, il medico è tenuto a staccare la ventilazione, ma subito dopo, quando intervengono gli spasmi del soffocamento, il medico è tenuto per deontologia a riattaccare il ventilatore. Fiordi moralisti hanno discettato sulla differenza incolmabile che separerebbe il mancato inizio di un intervento - come la tracheostomia - dalla sua sospensione una volta che sia in atto, magari, come per W.,da tredici anni. E’ la differenza etica che separa un’estremità dall’altra di un interruttore: di qua accendete la luce, di là la spegnete. Ecco, diranno: proprio di questo si tratta, la lotta fra la luce e le tenebre... Notti abbaglianti di lampade devono avere questi moralizzatori. Si dice che le ultime parole di Goethe morente siano state: «Mehr nicht» - non più, basta. Altri obiettano che si sia frainteso, e che avesse invece sussurrato: «Mehr licht» - più luce: che meglio si addirebbe a quell’illuminato. Però il primo senso è più evangelico, e la notte arriva per tutti. Il Papa ha insistito sulla vita sacra dal concepimento al tramonto naturale, ma il tramonto è il punto in cui va via la luce. Il Papa ha messo in guardia da un tempo che vorrebbe l’uomo «sicuro ed autosufficiente artefice del proprio destino, fabbricatore entusiasta dì indiscussi successi». Non sono parole che si attagliano ai congegni dai quali W. pregava di esser liberato? Ormai le parole sembrano rivoltabili, come un vecchio soprabito. «Non si scelga la morte credendo di inneggiare alla vita»: l’ha detto il Papa, avrebbe potuto dirlo, tal quale, Marco Pannella. Che cosa ci fosse di naturale nei macchinari che vivevano per W. è difficile dire: benché essi siano anche benedetti, lo siano stati per lui finché li ha voluti, e lo siano per chiunque fino a che li voglia, o altri li vogliano per amore di un loro caro senza più coscienza. La Chiesa ha rinunciato al bando per i suicidi. Se non equivoco, la ragione che ha motivato il cambiamento è a sua volta dubbia e paternalistica, e vuole negare che il suicidio possa mai essere una scelta lucida e nobile: nell’atto del suicidio la persona è spogliata della propria responsabilità. Una tautologia: suicidio e incapacità di intendere e volere coincidono. Sia pure con questa concessione, i suicidi vengono accolti in chiesa, per fortuna, e anche solennemente. Il rifiuto del funerale religioso è di quegli avvenimenti che lasciano sgomenti.Si vuoi deridere il non credente che pretende di insegnare alla Chiesa come comportarsi. Io non pretendo niente: tuttavia mi aspetto qualcosa. E quando ciò che succede è così rovinosamente contrario all’aspettativa, bisogna dirlo. Almeno fino a che le chiese cristiane resteranno luoghi in cui si entra e si esce senza dover esibir" documenti nè dare impronte, in cui si è di casa.Questa volta la chiesa ha chiuso malamente la porta in faccia a una vecchia madre, a una moglie, che avevano bussato, e doveva bastare. Durezza e paura sembrano mescolarsi in questo rigore, e non poteva venirne fuori altro linguaggio che quello sul «defunto dott. Welby». Lo Stato aveva fatto qualcosa di turpe, forzando una donna a star fuori dal recinto della commemorazione di caduti di Nassiryia, perchè il suo era un uomo di fatto. Ma appunto dalla Chiesa ci si aspetta di meglio, se non nel dogma o nel canone, nella carità.La Chiesa, in nome della propria cura di anime, sembra esigere l’esclusiva sui corpi. Un paradosso spiegabile solo con l’inveterato pregiudizio secondo cui il peccato ha origine e fine nel corpo. Dal suo centro nella sessualità questa convinzione arriva a maledire il diritto all’autodecisione nella cura della malattia.Quel funerale espulso si chiama addosso lo scandalo di un popolo di fedeli. Ma fosse anche una sola persona a promettere: «Da oggi non metterò più piede in una chiesa» (è la frase che abbiamo sentito, non da uno solo) ce ne sarebbe abbastanza. Si può rallegrarsene, chi si augura che la Chiesa si screditi e le chiese si svuotino. Io non melo auguro affatto, dunque non me ne rallegro. Mi dispiace. Bisognerebbe essere senza peccato per usare di quella lingua: «Guai a voi...». E però ci sono giorni in cui si torna a guardare con occhi lucidi, e a vedere che il re è nudo.
(Repubblica del 27-12-06)
lunedì, dicembre 25, 2006
venerdì, dicembre 22, 2006
giovedì, dicembre 21, 2006
lunedì, dicembre 18, 2006
domenica, dicembre 17, 2006
sabato, dicembre 16, 2006
Le principali tappe della lotta di Piero
Dal video appello al presidente della Repubblica alla lettera inviata ai Presidenti di Senato e Camera
ROMA - L'inammissibilità del ricorso di Pier Giorgio Welby, decisa dal tribunale civile di Roma, ha chiuso questa prima fase della vicenda giudiziaria che potrà eventualmente continuare se Welby vorrà impugnare la decisione con un ulteriore ricorso. Queste le 10 tappe più significative della lotta di Welby a partire dal video appello televisivo al presidente della Repubblica.
22 SETTEMBRE: all'interno di «Primo Piano», l'approfondimento quotidiano del Tg3, Piergiorgio Welby, co-presidente dell'associazione Luca Coscioni, da quaranta anni ammalato di distrofia muscolare progressiva, rivolge un video appello al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in favore dell'eutanasia. «Raccolgo il suo messaggio di tragica sofferenza con sincera comprensione e solidarietà - risponde il Capo dello Stato -. Esso può rappresentare un'occasione di non frettolosa riflessione su situazioni e temi di particolare complessità sul piano etico che richiedono un confronto sensibile e approfondito».
23 OTTOBRE: Welby dice di voler rinunciare alla ventilazione polmonare assistita e chiede se sia possibile che gli venga somministrata una sedazione terminale che gli permetta di poter staccare la spina senza dover soffrire.
14 NOVEMBRE: in una lettera inviata ai Presidenti e ai membri delle Commissioni Sanità e Giustizia di Senato e Camera, e per conoscenza, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, Welby scrive che nessuno vuole prendersi la responsabilità di staccare il respiratore, e aggiunge che quindi «l'unica via percorribile resta quella della disobbedienza civile», da mettere in pratica insieme con Marco Pannella e altri esponenti radicali in un giorno da decidere. -
22 NOVEMBRE: alla mezzanotte comincia lo sciopero della fame, aperto anche ai cittadini, proclamato ad oltranza dall'Associazione Luca Coscioni, insieme con i Radicali Italiani. Il 4 dicembre aderisce anche Emma Bonino.
27 NOVEMBRE: Welby rivolge ad uno dei due medici che lo segue la richiesta scritta di staccare la spina e la sedazione terminale per non soffrire a causa della mancanza di aiuto nella respirazione.
28 NOVEMBRE: il medico che ha ricevuto la richiesta di Welby di staccare la spina del respiratore risponde di non poter esser lui a decidere e di rimettersi quindi alla decisione delle autorità competenti. Aggiunge che «il paziente sta però soffrendo in una maniera incommensurabile».
30 NOVEMBRE: il presidente della Camera Fausto Bertinotti parla di «un vuoto che deve essere colmato» a livello legislativo. Il ministro per le Politiche della famiglia, Rosy Bindi, afferma di essere contraria a titolo personale all'eutanasia e che «la legislazione vigente non permette di invocare la sospensione delle cure». - 1 DICEMBRE: i legali di Welby depositano presso il Tribunale civile di Roma un ricorso d'urgenza volto ad ottenere il distacco del respiratore artificiale sotto sedazione terminale.
6 DICEMBRE: il Ministro della Salute Livia Turco, pur sottolineando di essere personalmente contraria a staccare la spina e che una decisione spetta comunque al Parlamento, chiede un parere al Consiglio Superiore di Sanità «per verificare se nel caso del signor Piero Welby i trattamenti sanitari ai quali è attualmente sottoposto siano inquadrabili nell'ambito di forme di accanimento terapeutico».
11 DICEMBRE: in un parere preliminare l'ufficio affari civili della procura di Roma afferma che il ricorso di Welby è ammissibile «e va accolto» ma allo stesso tempo non si può «ordinare ai medici di non ripristinare la terapia perchè trattasi di una scelta discrezionale affidata al medico».
martedì, dicembre 12, 2006
Comunità Cristiane di base
L’Assemblea conclusiva del 30° Incontro Nazionale delle Comunità Cristiane di Base, che ha visto la partecipazione di oltre 300 persone provenienti da ogni parte d’Italia, espressione di 25 comunità di base e 10 gruppi ed associazioni di diverso impegno civile, sociale, ecclesiale, al termine di tre giornate di intenso ed appassionato confronto sulla laicità dell’esperienza di fede, ha approvato una lettera aperta in risposta al drammatico appello di Piergiorgio Welby e un documento sulla questione dei PACS.
lunedì, dicembre 11, 2006
Gassman legge Pasolini
Pier Paolo Pasolini
"Padre nostro che sei nei cieli" (da Affabulazione)lettura di Vittorio Gassman
Padre nostro che sei nei Cieli,
io non sono mai stato ridicolo in tutta la vita.
Ho sempre avuto negli occhi un velo d'ironia.
Padre nostro che sei nei Cieli:
ecco un tuo figlio che, in terra, è padre...
È a terra, non si difende più...
Se tu lo interroghi, egli è pronto a risponderti.
È loquace. Come quelli che hanno appena avuto
una disgrazia e sono abituati alle disgrazie.
Anzi, ha bisogno, lui, di parlare:
tanto che ti parla anche se tu non lo interroghi.
Quanta inutile buona educazione!
Non sono mai stato maleducato una volta nella mia vita.
Avevo il tratto staccato dalle cose, e sapevo tacere.
Per difendermi, dopo l'ironia, avevo il silenzio.
Padre nostro che sei nei Cieli:
sono diventato padre, e il grigio degli alberi
sfioriti, e ormai senza frutti,
il grigio delle eclissi, per mano tua mi ha sempre difeso.
Mi ha difeso dallo scandalo, dal dare in pasto agli altri il mio potere perduto.
Infatti, Dio, io non ho mai dato l'ombra di uno scandalo.
Ero protetto dal mio possedere e dall'esperienza del possedere,
che mi rendeva, appunto, ironico, silenzioso e infine inattaccabile come mio padre.
Ora tu mi hai lasciato. Ah, ah, lo so ben io cosa ho sognato
Quel maledetto pomeriggio! Ho sognato Te.
Ecco perché è cambiata la mia vita.
E allora, poiché Ti ho,
che me ne faccio della paura del ridicolo?
I miei occhi sono divenuti due buffi e nudi
lampioni del mio deserto e della mia miseria.
Padre nostro che sei nei Cieli!
Che me ne faccio della mia buona educazione?
Chiacchiererò con Te come una vecchia,
o un povero operaio che viene dalla campagna, reso quasi nudo
dalla coscienza dei quattro soldi che guadagna
e che dà subito alla moglie - restando, lui,
squattrinato,
come un ragazzo, malgrado le sue tempie grigie
e i calzoni larghi e grigi delle persone anziane...
chiacchiererò con la mancanza di pudore
della gente inferiore, che Ti è tanto cara.
Sei contento? Ti confido il mio dolore;
e sto qui a aspettare la tua risposta
come un miserabile e buon gatto aspetta
gli avanzi, sotto il tavolo: Ti guardo, Ti guardo fisso,
come un bambino imbambolato e senza dignità.
La buona reputazione, ah, ah!
Padre nostro che sei nei Cieli, cosa me ne faccio della buona reputazione,
e del destino -
che sembrava tutt'uno col mio corpo e il mio tratto
- di non fare per nessuna ragione al mondo parlare di
me?
Che me ne faccio di questa persona
cosi ben difesa contro gli imprevisti?
domenica, dicembre 10, 2006
Welby e il silenzio della sinistra
venerdì, dicembre 08, 2006
Piero scrive al TG3
sono Piergiorgio Welby, che ha preso il posto di Luca Coscioni quale Presidente dell'Associazione radicale che porta il suo nome, e come esponente della costellazione di soggetti politici Radicali, nazionali e internazionali, che operano con e attorno al Partito Radicale.
Ormai, 77 "giorni" fa, mi sono rivolto pubblicamente, personalmente, politicamente, al Presidente della Repubblica, quale supremo Garante del rispetto della Costituzione, della legalità repubblicana; per ottenere finalmente l'esercizio del mio diritto naturale civile politico personale ad una mia morte - naturale -. Solo modo possibile per conquistare (anche in Diritto) pace per questo "mio" corpo altrimenti sempre più straziato e torturato. Sequestratomi, per una kafkiana imposizione "etica" dall'ordinamento e del potere burocratico, o anche a esso imposto. Dobbiamo tutti - credo- gratitudine per la qualità, l´importanza, della Sua risposta e delle Sue esortazioni che hanno indubbiamente consentito il grave e grande dibattito che unisce, anzichè dividere, coloro che vi partecipano, che non sono indifferenti.
Signor Direttore,
Come già Luca Coscioni, a mio turno sono oggi oggetto di offese e insulti, di pensieri, parole, aggressioni alla mia identità ed alla mia immagine, quasi non bastassero quelle perpetrate al corpo che fu mio e che, invece, vorrei, per un attimo almeno, mi fosse reso come forma - qual è il corpo - necessaria del mio spirito, del mio pensiero, della mia vita, della mia morte; in una parola del mio "essere".
Sono accusato, insomma, di "strumentalizzare" io stesso, la mia condizione per muovere a compassione, per mendicare o estorcere in tal modo, slealmente, quel che proponiamo e perseguiamo con i miei compagni Radicali e della Associazione Luca Coscioni, che ha ragione ormai antica e sempre più antropologicamente, culturalmente, politicamente forte; "dal corpo del malato al cuore della politica". O, ancora, non sarei, come già Luca Coscioni, che io stesso strumentalizzato dai "miei", così infamandoci come meri oggetti o come soggetti plagiati. (O indemoniati, vero... Signori?). Strumenti? Sono, invece, limpidi obiettivi ideali, umani, civili, politici.
Dalla mia prigione infame, da questo corpo che - per etica, s'intende - mi sequestrano, mi tornano alla memoria le lettere inviate alla... "politica" da un suo illustre, altro, "prigioniero": Aldo Moro. Pagine nobili e tragiche contro gli uomini di un potere che aveva deciso di condannarlo (anche lui per etica, naturalmente) a morte certa, anche lui ad una forma di tortura di Stato, feroce ed ottusa. Quelle pagine non potrei farle mie. Anche perché furono perfette, e lo restano.
Un pensiero, ancora, un interrogativo, un dubbio: dove sono mai finiti per tanti "credenti" Corpo mistico e Comunione dei Santi?
Comunque Addio, Signori che fate della tortura infinita il mezzo, lo strumento obbligato di realizzazione o di difesa dei vostri valori! Chi siano (e in che modo) i morti o i vivi che rimarranno tali quando saremo tutti passati, non sappiamo, né noi né voi.
Io auguro a voi ogni bene. Spero davvero (ma temo fortemente che così non sia), spero davvero che questo augurio vi raggiunga, si realizzi, perché questo "voi" oggi manca anche a me, anche a noi altri.
Per finire, grazie Signor Direttore per la sua tollerante attenzione. A questo mio estremo, ultimo tentativo di trasmettere parola. Grazie sincero,
SuoPiero Welby
p.s. Chiedo - ringraziandoli fraternamente - alle oltre 700 mie compagne e compagni, antiche e nuovi, che sono in sciopero della fame, alcuni al sedicesimo giorno, di sospendere questa loro forma di lotta, che ha contribuito in modo determinante al radicamento di un nuovo grande momento di dialogo e di conoscenza a tutto il Paese.
giovedì, dicembre 07, 2006
SolitograndeSofri
martedì, dicembre 05, 2006
A. Sofri da "Repubblica"
La Repubblica del 5 dicembre 2006, pag. 1
di Adriano Sofri
Editoriale da "Il Riformista" 5 dicembre
A. Sofri aderisce allo sciopero della fame per Welby
ROMA - Adriano Sofri partecipera' per due giorni allo sciopero della fame in sostegno delle ragioni di Piergiorgio Welby, il copresidente dell'associazione Luca Coscioni, gravemente malato, che ha chiesto alle piu' alte cariche dello Stato una chiara presa di posizione sul tema dell'eutanasia. (Agr)